Nota redazionale: iniziamo da oggi (11 marzo 2019) la ripubblicazione, capitolo per capitolo (anzi, punto per punto in questo caso), del fondamentale testo dal titolo ”31 punti per la difesa della tradizione rivoluzionaria della sinistra’.
Oggi ripubblichiamo l’introduzione e il primo punto, in futuro ripubblicheremo i successivi singoli punti. Il testo completo è già presente sul sito, in formato pdf, sotto la voce ‘testi marxisti’. L’introduzione fa riferimento ad eventi politici avvenuti in passato, fra gli anni 70 e 80. Il primo punto invece è una vera e propria discesa negli inferi dell’opportunismo attivistico, ne ripercorre le derive negative prima nella tattica e poi nella teoria. Infine racconta come la furia combinata di errori tattici e teorici, e la protervia dirigistica, abbiano prodotto la distruzione di una organizzazione formale comunista. Gli attori principali della strategia dissolutiva solo dopo qualche anno riprendono a fare politica, ovviamente senza avere imparato nulla dall’esperienza passata, ma indubbiamente più piccoli di prima sul piano numerico. Qualche altro astro della recita dissolutiva semplicemente si ritira a vita privata, forse soddisfatto o perplesso sulla parte assegnatagli dalle circostanze. Gli oppositori del nuovo corso, al di là delle differenze, dovranno riprendere un cammino in salita, inerpicandosi sulle macerie lasciate dai loro avversari, che nella ostinazione distruttiva, hanno infine trovato la propria nemesi autodistruttiva. Un detto medioevale recita ‘lo sprovveduto è la cavalcatura del diavolo’, esso ben si attaglia a riassumere il senso della vicenda. Eppure bastava leggere due articoli della corrente: ‘Prometeo incatenato’ e ‘Dizionarietto dei chiodi revisionisti: attivismo’, per capire l’errore. Sotto la spinta della ideologia borghese, un gruppo ” dirigente” ha gettato alle ortiche gli insegnamenti del marxismo, e ha alzato la bandiera della immersione nei comitati interclassisti, nei referendum, nelle più vane e inutili lotte immediate, prediligendo una illusoria, ipotetica, crescita quantitativa, alla corretta azione politica guidata dalla teoria sorta dall’esperienza della storia. Incapace di valutare i reali rapporti di forza fra le classi, nell’attuale periodo di controrivoluzione, questo gruppo dirigente ha perseguito una linea di azione velleitaria e chimerica, restando colpevolmente sordo ai richiami al principio di realtà che sezioni come quella di Schio gli inviavano. Irretito dalla falsa risorsa dell’attivismo, accecato dalla presunzione della propria centralità dirigenziale, questo gruppo è caduto nella polvere, cedendo ai suoi oppositori più coerenti il compito di difendere la tradizione rivoluzionaria della corrente. Si consideri che il testo scritto per assolvere questo compito ha quasi venti anni, mentre le vicende descritte risalgono sia al periodo a cavallo fra gli anni settanta e ottanta, sia a un periodo più vicino, cioè fine anni novanta e primi anni del duemila. Al di là della descrizione delle situazioni contingenti di allora, il valore del testo, come emergerà prossimamente dalla lettura dei singoli punti, sta nell’essere un riepilogo analitico, e in effetti una difesa, delle posizioni marxiste della nostra corrente. Posizioni elaborate sulla scia delle lezioni storiche, cioè le lezioni della vita, in un rapporto continuo di verifica di concomitanza con la teoria invariante marxista ( vero e proprio squarcio di luce manifestatosi nella ‘mezzeria’ del 1800). Il marxismo: la migliore approssimazione conoscitiva alle leggi di sviluppo del sistema capitalistico, e al contempo una ‘conoscenza’ della realtà legata al passato comunista della specie umana.
I capitoli che ripubblicheremo contengono un messaggio di verità e di chiarezza rivolto in generale a tutti i lettori, e in particolare ai militanti e simpatizzanti della nostra corrente che operano al di fuori della organizzazione di cui questo sito è l’espressione comunicativa. L’invito rivolto a costoro è di prendere atto della coerenza marxista dei 31 punti, e di valutare inoltre la validità (il realismo marxista) delle nostre analisi più recenti.
Postilla: un lettore, dopo aver letto il presente articolo, ci rimprovera per i toni aspri usati verso gli (anonimi ) compagni che quasi quarant’anni addietro svolsero determinati ruoli nella vicenda dissolutiva. Inoltre ci informa che il partito formale risente delle congiunture storiche negative e positive, ergo, il nuovo corso non ebbe nessun genitore umano, ma fu un risultato della situazione oggettiva. La risposta è semplice, lungi da noi attribuire colpe e meriti individuali, che pure ci furono, tuttavia è realistico pensare che la storia la fanno gli uomini, sebbene all’Interno di circostanze oggettive. In merito al condizionamento delle situazioni oggettive sul partito fa testo ”Dialogato con i morti”, in cui si chiarisce che il partito è prodotto e insieme produttore della storia, dunque è un soggetto libero, entro un certo ventaglio di possibilità, di scegliere una strada invece di un altra. E infatti è quello che è accaduto allora, quando una frazione del partito formale intraprese una strada dissolutiva, e un altra parte intraprese un percorso di restaurazione teorica e pratica ( che noi tuttora continuiamo). La mole di circolari citate, le espulsioni, e tutto il resto sono una documentazione sufficiente a giustificare i toni aspri? Ci permettiamo di ricordare al nostro gentile lettore, che invitiamo a continuare a leggerci, che piano oggettivo e soggettivo sono dialetticamente intrecciati ( leggasi ”Storia e dialettica’ giugno 2015), dunque se si pone l’accento solo su una delle parti ( il piano oggettivo) si rischia di trasferire ad essa il ruolo dell’idea assoluta hegeliana, e alla fine, considerato che in Hegel tutto ciò che è reale è razionale, va a finire che pure il nuovo corso andrebbe riconsiderato in positivo. Oppure, mettendo un accento tragico sulla vicenda, si potrebbe concludere che il nuovo corso è stato solo una conseguenza di un destino cinico e baro, a cui nulla di umano poteva opporsi. In realtà qualcuno allora si oppose, noi e altri ci opponemmo, prendendo il largo da una organizzazione formale che entro un breve lasso di mesi si sarebbe autodistrutta.
I fatti hanno la tendenza fastidiosa a ritornare sempre alla luce.
Negli ultimi anni abbiamo accentuato la nostra battaglia teorica contro le molteplici deformazioni della teoria marxista, queste deformazioni caratterizzano varie entità formali che si richiamano alla nostra corrente. Lo scopo della riproposizione dei 31 punti si collega al nostro compito più generale di contrastare tutte le deformazioni del marxismo rivoluzionario.
Qualcuno ci ha di recente assimilati ai teologi della santa inquisizione, tuttavia il paragone è inappropriato. In primo luogo perché non mandiamo nessuno al rogo, e tantomeno lo espelliamo. In secondo luogo perché le deformazioni del marxismo rivoluzionario rivestono un ruolo sociale diverso dalle eresie medioevali. Mentre queste ultime avevano un contenuto di critica allo status quo, e alla religione ufficiale in quanto instrumentum regni, le attuali deformazioni del marxismo si trasformano, o possono trasformarsi, regolarmente in sconfitte pratiche nella lotta di classe. Dunque la critica di tali deformazioni è un compito ineludibile per una organizzazione comunista, che tenta di operare sulla linea del partito storico (alias teoria marxista).
Buona lettura
“In questioni di scienza, l’autorità di mille
non vale l’umile ragionare di un singolo”
(G. Galilei)
“Ovunque non si tratta di immaginare
rapporti nella propria mente, ma di
scoprirli nei fatti”
(F. Engels)
A tutti i compagni.
Il documento che vi apprestate a leggere è il frutto di un lavoro durato molti mesi che, a buon diritto, possiamo definire di partito ed al quale hanno collaborato, insieme alla sezione di Schio, altre sezioni e singoli compagni che hanno sentito – una volta compreso ciò che stava accadendo – l’esigenza di fare chiarezza. Questo lavoro si è reso assolutamente necessario per stabilire alcuni punti fermi dai quali ripartire.
Siamo stati costretti a questo in quanto, all’interno della compagine del partito è assente, ormai da molto tempo, il corretto funzionamento del centralismo organico; anzi, esso è totalmente assente.
Per disciplina di partito siamo stati in silenzio – e siamo stati anche criticati per questo – per moltissimo tempo, tentando di sollecitare il centro a modificare rotta; per rendersene conto i compagni non debbono fare altro che leggere tutta la corrispondenza intercorsa tra il centro e la sezione di Schio. D’altro canto, non siamo stati i soli a lanciare delle grida di allarme dalla periferia che, purtroppo, sono rimaste inascoltate. A queste sollecitazioni si è risposto con il silenzio prima; poi con manovre, menzogne e calunnie degne di un gruppo stalinista; successivamente con richiami ad una disciplina formale e burocratica; infine con provvedimenti di espulsione (anche se ipocritamente non si è voluto usare questo termine, la sostanza non cambia) che hanno colpito la sezione di Schio, quella di Madrid e, ultimamente, la sezione di Messina nei confronti della quale non ci si è nemmeno sforzati di produrre una comunicazione scritta: semplicemente è stata interrotta la spedizione del giornale e non è stata inviata la circolare di convocazione per la RG. Si è arrivati persino ad affermare che siamo stati nel partito per fare dell’ ’’entrismo” (pratica che è completamente fuori dal materialismo marxista per ovvi motivi) e che avremmo pugnalato alle spalle l’attuale centro!
Sono cose che si commentano da sole e che basterebbero a qualificare i nostri contraddittori.
Il centro, una volta che si è cominciato a sapere quello che stava accadendo, ha accumulato una serie impressionante di goffaggini che, nel linguaggio dell’impotenza, significano semplicemente ostilità. Ostilità nei confronti di chiunque abbia mosso delle critiche concernenti la deriva attuale che ci porta inesorabilmente verso una secca dalla quale sarà impossibile uscire. Se una nave prende una rotta sbagliata e pericolosa è dovere dell’equipaggio tutto sollecitare il ponte di comando e, se questo rimane sordo alle sollecitazioni, è dovere dell’equipaggio tutto imporre, in prima istanza, che si ascolti queste sollecitazioni e, se questo non fosse sufficiente, ristabilire la giusta rotta prima che sia troppo tardi. E, se anche il comando della nave avesse ragione e l’equipaggio torto, sarebbe sbagliato non ascoltare le sollecitazioni e trattare da ammutinati tutti
coloro che abbiano delle critiche da fare.
Le Tesi del Partito sono fin troppo chiare: la condizione che toglie alle centrali ogni diritto ad ottenere l’obbedienza della base è costituita dal fatto che esse, le centrali, siano “sulla via della deviazione”, non dal fatto che siano ormai giunte al capolinea di quel percorso. Quest’ultima interpretazione di comodo coincide, viceversa, con quanto sosteneva il Centro nel 1981,
mistificando e capovolgendo il senso del Centralismo Organico: reagendo agli atti di “indisciplina” della Sezione di Torino, il Centro, dopo essersi richiamato al formarsi delle frazioni e alla loro utilità, che si manifesta in presenza di una “irrimediabile degenerazione dei vecchi partiti e delle loro dirigenze”, si chiede: “Siamo noi arrivati a tanto? Noi lo neghiamo recisamente, la vostra
lettera […] non meno recisamente lo afferma” (Lettera centrale di espulsione della Sezione di Torino, Maggio 1981). Il punto è che per la Sinistra le Frazioni sono utili quando i vecchi partiti sono ormai irrimediabilmente degenerati, ma la disciplina verso le Centrali cade non quando esse sono “giunte a tanto”, ma molto prima, quando sono ancora “sulla via della deviazione”. L’attuale Centro è stato ancora più esplicito in proposito, affermando che “in assenza di plateali dimostrazioni di non aderenza al nostro programma da parte del C. attuale, questo stesso C. esige di essere ascoltato e seguito (alla maniera nostra, ovviamente, che non ha nulla di caporalesco)” (Lettera del Centro del 24.12.02). Se per reagire togliendo al Centro il diritto di esigere obbedienza dovessimo aspettare che esso abbia platealmente deviato, ovvero che sia irrimediabilmente degenerato, le sorti del partito e della Rivoluzione sarebbero già altrettanto irrimediabilmente segnate.
Noi non riconosciamo nella maniera più assoluta questi provvedimenti sia nella forma che nella sostanza. Che piaccia o meno a qualcuno, noi ci sentiamo ancora facenti parte integrante del partito è sarà il partito tutto che deciderà se le tre sezioni incriminate e tutti i compagni che volessero fare delle critiche sono un tutt’uno con le altre o se invece sono fuori dall’organizzazione. In quest’ultima deprecabile eventualità, proseguiremo il nostro lavoro di partito in stretto contatto con il partito storico dal quale riteniamo di non esserci distaccati. Altri – pochi – se ne sono distaccati e tengono in ostaggio tutto il partito accumulando errore su errore, tentando di risolvere i problemi per via burocratica e disciplinare. I problemi così non si risolvono; si aggravano.
Dunque il documento deve, come dicevamo, servire a fare chiarezza. Non è invece nelle nostre intenzioni sollecitare i compagni a schierarsi; cosa che invece il centro vuole imporre. Vogliamo raddrizzare il partito insieme a tutte le sezioni; altrimenti ce ne saremmo già andati e non avremmo
perso certamente molti mesi a redigere questo documento.
Il ristabilimento del centralismo organico è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per rimettersi sulla giusta rotta. I compagni hanno appreso con molto ritardo, in maniera frammentaria e, volutamente, distorta quello che stava avvenendo. All’inizio molti non si saranno fatti troppe domande, facendosi bastare quello che gli veniva comunicato col bilancino e con la superiorità di una clessidra sul tempo.
Successivamente, mano a mano che emergeva la reale natura delle cose, l’allarme si è esteso ad altre sezioni e compagni – è il caso della sezione di Roma la cui comunicazione inviata a tutti ha trovato molti compagni concordi ed alla quale il centro non ha mai risposto – che hanno voluto vederci chiaro. E lo hanno fatto nell’unico modo possibile. Nell’attesa di poter leggere il documento (visto che quello che avete letto era solo una bozza – ed il centro lo sapeva da mesi – e, per giunta, è stato fatto circolare senza le essenziali note) si sono messi in contatto con noi, chiedendo chiarimenti e prendendo visione della documentazione scritta. Alcuni non sono stati d’accordo totalmente con noi ma lo sono stati sulla questione del centralismo organico. Non è qui questione di “errori”, che sono sempre possibili e che il Partito in effetti commise; sarebbe stato strano il contrario. Il punto è che, se viene meno la capacità di correggerli ritornando continuamente ai capisaldi della dottrina, gli “errori” si susseguono agli “errori”, determinando un processo continuo e sempre più grave di deviazione dal programma, generando insomma una pericolosa deriva .
Questo è ciò che sta accadendo. A questo non potevamo non reagire.
Non ci sembra di pretendere molto se chiediamo ai compagni di evitare giudizi sommari e di prendere visione di tutta la documentazione. Questo ci sembra il minimo.
Non è inutile, a scanso di polemiche pretestuose e banali, ribadire che non si tratta qui di porre in rilievo in modo pettegolo ed anti-marxista chi ha ragione e chi invece ha torto, personalizzando lo scontro politico. Quindi non riteniamo, di conseguenza, che il fatto di aver avuto ragione in passato nel dare l’allarme su una serie di deviazioni presenti nel Partito, implichi necessariamente il fatto di aver ragione oggi a dare l’allarme sul risorgere di quelle deviazioni o sull’insorgerne di altre. Chi ha avuto ragione ieri può avere torto oggi, e non ci sono “probiviri” designati a svolgere questa funzione da veri o presunti meriti acquisiti. Ciò che viceversa riteniamo, sulla base degli insegnamenti della Sinistra, è che tutta la compagine del Partito debba assolvere a tale funzione, vegliando affinché il Centro non si discosti dal Programma.
Lo ripetiamo: accetteremo il nostro allontanamento solamente se sarà il partito tutto a chiedercelo.
In tal caso – come è nella prassi del centralismo organico – la cosa avverrà automaticamente senza ridicole espulsioni e saranno i fatti che si succederanno a dire, materialisticamente, chi è rimasto sul binario del partito storico e chi se ne è discostato.
“In genere io penso che in primo piano, oggi, più che l’organizzazione e la
manovra, si deve mettere un lavoro pregiudiziale di elaborazione di
ideologia politica di sinistra internazionale, basata sulle esperienze
eloquenti traversate dal Comintern” (Lettera del rappresentante della
Sinistra Italiana a Karl Korsch, 28.10.1926)
“La critica senza l’errore non nuoce nemmeno la millesima parte di quanto
nuoce l’errore senza la critica” (Il pericolo opportunista e l’Internazionale,
1925)
“Non è un cattivo metodo prestare al contraddittore opinioni un poco più
errate, anzi è un metodo marxista utile, quando conduce a belle
chiarificazioni di punti notevoli e che pure alle volte in tanto tempo
elementi anche di primo piano non hanno assimilati. […] Evidentemente
purché la messa a punto sia buona non è molto grave aver prestato all’altro
una tesi che non era proprio la sua: non ci interessa la democrazia nella
polemica e non dobbiamo arrivare a punti di merito scolastici e tanto meno
ad una classifica generale per vedere chi è il migliore, siamo andati appunto
oltre questa robetta. Può essere utile una contestazione inventata per
andare avanti; e alle volte scrivendo la formula volutamente falsa si trova la
soluzione dell’equazione scoprendo una via che nel procedimento normale
non vi era; e intanto non si è mandato in galera nessuno” (Lettera di Alfa ad
Onorio, 31.7.1951)
Vicissitudini del Partito Formale dal 1972 al 1982-83 e dopo il 1984
Punto n°1: la degenerazione dell’Organo formale negli anni ‘70
IL PARTITO FORMALE IN QUANTO PRODOTTO DELLA STORIA NON POTEVA PASSARE INDENNE ATTRAVERSO IL PIU’ PROFONDO E DURATURO CICLO CONTRORIVOLUZIONARIO.
E’ assurda ed anti-marxista la pretesa che alla curva continua ed armoniosa del Partito Storico debba necessariamente corrispondere
una linea altrettanto continua ed armoniosa del Partito Formale. E’ stata la Sinistra ad insegnarci, sulla base dell’esperienza storica del proletariato mondiale, che il percorso del Partito Formale descrive una linea accidentata: noi ci limitiamo a ripetere. E’ proprio la erronea convinzione del necessario parallelismo delle due curve, viceversa, ad animare quanti, volendosi illudere su una presunta continuità del P.C.Int. in tutto l’arco del trentennio che va dal 1952 al 1982, sostengono in forza di una pura petizione di principio che gli errori che sicuramente furono compiuti dal Partito Formale negli anni ’70 possono avere contribuito al maturare della crisi del 1982, ma non perciò ne hanno intaccato le caratteristiche essenziali, in quanto sono restati per decreto divino confinati nella sfera degli inevitabili errori di dettaglio; costoro pertanto respingono con sdegno anche solo l’ipotesi che il Partito in quel periodo sia degenerato o –il che è lo stesso- che abbia imboccato un “Nuovo corso”, e lo fanno con l’animo del moralista, col cipiglio del servitore fedele ma ottuso della organizzazione esistente, in nome di un malinteso patriottismo di partito che altro non è che feticismo organizzativo, e quindi lo fanno senza minimamente curarsi di entrare nel merito degli argomenti che stanno a dimostrare l’inconsistenza delle loro prefabbricate convinzioni. La nostra corrente nelle infuocate battaglie degli anni ’20 ravvisò nel “cieco ottimismo d’ufficio” secondo cui “tutto va bene, e chi si permette di dubitarne non è che uno scocciatore da mandare al più presto fuori daipiedi” il sintomo che caratterizzava “il peggiore liquidazionismo del partito e dell’Internazionale, accompagnato da tutti i fenomeni caratteristici e ben noti del
filisteismo burocratico” (1). Attenendoci allo stesso metodo di valutazione noi oggi siamo costretti a riconoscere che, sia pure su scala infinitamente minore, lo stesso processo si è riprodotto nel nostro Partito a distanza di mezzo secolo. IlP.C.Int.le infatti, dopo alcune non irrilevanti sbandate sulla questione sindacale nel 1968-1971, sbandate che, pur giungendo all’assurdo della “difesa della CGIL rossa” (2), non avevano tuttavia intaccato i principi, iniziò a partire dal 1972 (3). Non solo i sindacati esistenti, ma il sindacato in sé, il sindacato in quanto forma di organizzazione agente sul terreno della difesa degli interessi immediati degli operai era considerata una “istituzione politica borghese”. Addirittura, di fronte alla ristrutturazione delle fabbriche, che si tradusse in poi in modo ancor più netto dal 1974-75 (4) ad allontanarsi dalla “curva continua ed armonica del partito storico” (5). Imboccò cioè un vero e proprio “Nuovo Corso” che, sviluppatosi da una revisione dell’attività “esterna”, giunse gradualmente a scardinare le sue stesse basi costitutive. Le prime rotture della continuità della linea di Partito avvennero, come al solito, sul terreno della tattica: si cominciò con l’invitare i proletari ad andare a votare in occasione dei referendum sul divorzio e sull’aborto in Italia e di quello sull’immigrazione in Svizzera (6) e si finì con la partecipazione a quei veri e propri fronti unici politici che furono i vari Comitati creati in Italia dai gruppetti ex-extraparlamentari in assenza di una vera partecipazione operaia (come il “Comitato Nazionale contro i licenziamenti” del 1979) o -peggio ancora- ai Comitati contro la repressione; e si passò parallelamente dalla adesione a moti per definizione interclassisti, come quelli degli inquilini e dei senza-casa in Italia e in Germania, alla partecipazione a movimenti essenzialmente piccolo-borghesi, come quelli degli studenti in Italia,
presentati tutti ed a torto come l’inizio della ripresa della lotta di classe all’unico fine di giustificare la smania attivistica di dimenare la coda ad ogni costo. Poi arrivarono, come era inevitabile, gli sbreghi sul terreno della dottrina: dalla rottura della consegna dell’anonimato, consumatasi a partire dal 1976 con la pubblicazione dei testi della Sinistra col nome e cognome del suo più conosciuto rappresentante ad opera di una casa editrice parallela (7), si giunse al ripudio del “partito-programma” (8) sulla base di una concezione volontaristica dell’azione del partito (vedi in proposito la Controtesi n. 3), per finire con l’elaborare la falsa teoria dei “supplementi di doppie rivoluzioni” in America Latina ed in Medio Oriente, ricalcata sulla tesi togliattiana del “secondo risorgimento” in Italia (9), e ciò sempre per la smania di correre dietro ai “movimenti”, che, allora come oggi, occupavano il proscenio agitando il vessillo di un fasullo “antimperialismo” terzomondista. Ed infine la linea della Sinistra fu infranta sul terreno dell’organizzazione: si fece ricorso infatti alla fine degli anni ’70 al metodo delle espulsioni sistematiche delle sezioni “non allineate” (Ivrea, Torino, Marsiglia e le altre Sezioni del Sud della Francia) e dell’allontanamento forzato delle altre sezioni “indisciplinate” (Madrid, Schio, Benevento-Ariano Irpino e Torre Annunziata), e si adottarono nello stesso tempo delle artificiose norme di sicurezza, idonee solo a illudere i militanti su un’imminente apertura di una nuova “fase rivoluzionaria”, ed altre misure tipiche dei periodi di ripresa classista,ma che, nella situazione reale di allora, riuscirono solo a consumare insensatamente le energie dei compagni, “bruciandone” non pochi nella frenesia di una attività esterna senza capo né coda. Nel 1982-83 il Partito ebbe dunque l’indomani che il suo precedente corso degenerativo aveva saputo preparare: si determinò cioè, come logica continuazione del “Nuovo Corso”, la aperta e simultanea sconfessione della linea della Sinistra da parte del Centro su tutti i piani. Sul terreno della tattica: dissoluzione del Partito all’interno dei “movimenti sociali” interclassisti e piccolo-borghesi secondo la versione iniziale del liquidazionismo, che fu propria della Centrale franco-tedesca imperante nel 1982, mantenimento in vita di una compagine amorfa che avrebbe operato “per il partito comunista internazionale” secondo la versione successiva del liquidazionismo, che fu propria della nuova Centrale italica imperante nel 1983. Su quello della dottrina: enunciazione della tesi balorda sul presunto ruolo “anti-capitalista” del pretume progressista (10), ed anche dell’ecologismo e del pacifismo. La tesi sopra esposta ricalca quasi alla lettera le posizioni togliattiane: “abbiamo affermato ed insistiamo nell’affermare che l’aspirazione a una società socialista non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma che tale aspirazione può trovare (11), presentazione del partito-programma addirittura come un ostacolo allo sviluppo di un non meglio definito “movimento rivoluzionario”, enunciazione della teoria del “vizio d’origine della Sinistra” e quindi della necessità di “ritornare a Lenin”. Sul terreno della organizzazione: regressione dei “restanti” ai metodi del centralismo democratico ed elezione di un Comitato Centrale. Non è qui questione di “errori”, che sono sempre possibili e che il Partito in effetti commise anche prima degli anni ’70, come fu nel caso, ad esempio, del “sindacato rosso”. Il punto è che dopo il 1972 venne meno la capacità di correggerli ritornando continuamente ai capisaldi della dottrina, ed è proprio perciò che gli “errori” si susseguirono agli “errori”, determinando un processo continuo e sempre più grave di deviazione dal programma, generando insomma quella vera e propria deriva movimentista che fu la sostanza del “Nuovo Corso”. La tesi è marcia non perché l’ha enunciata Togliatti, ma perché capovolge la dottrina stabilita da Marx, il quale affermò che se nelle trascorse rivoluzioni borghesi “la resurrezione dei morti servì […] a magnificare le nuove lotte, non a parodiare le antiche” ciò avvenne solo in quanto le illusioni anche religiose erano precisamente ciò di cui i combattenti “avevano bisogno per dissimulare a se stessi il contenuto grettamente borghese delle loro lotte e per mantenere la loro passione all’altezza della grande tragedia storica”, mentre al contrario “la rivoluzione sociale del secolo decimonono non può trarre la propria poesia dal passato, ma solo dall’avvenire. Non può cominciare ad essere se stessa prima di aver liquidato ogni fede superstiziosa nel passato” (Marx, “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, Ed. Riuniti, pag. 50) in quanto il proletariato è la prima classe nella storia che non si batte per altri ma per sé stessa e quindi non ha bisogno di illusioni per dare forza ideale alle sue fisiche spinte. I continuatori del Nuovo Corso sono andati molto più avanti dei loro predecessori, arrivando addirittura a proclamare la compatibilità tra la fede religiosa e l’appartenenza al Partito, come si vedrà più avanti, ma quello che ci preme qui di rilevare è che, in ossequio al principio della invarianza storica dell’opportunismo, l’asino casca sempre nelle stesse trappole.
1 “Il pericolo opportunista e l’Internazionale”, 1925.
2 Per una disamina delle vicissitudini del “sindacato rosso” vedi oltre al Punto n° 23, dedicato alla “questione sindacale”.
3 Nel 1972 furono infatti redatti i “Punti sindacali” che, come si vedrà poi più in dettaglio al punto n° 21, costituiscono una prima rottura della continuità della linea del Partito, aprendo la strada al “Nuovo Corso” che vedrà la luce due anni dopo: esse infatti giungono a buttare a mare il sindacato sia per una falsa reazione alle precedenti sbandate in senso opposto, condensate nell’esperienza del “sindacato rosso”, sia per
un adattamento al “milieu” sedicentemente rivoluzionario di allora, in cui era di moda respingere la forma sindacale in quanto espressione del “vecchio movimento operaio”. Secondo il Collettivo Politico Metropolitano, ad esempio, in forza del piano del capitale “i sindacati devono sempre più funzionare oggettivamente da gestori di contratti e non possono quindi portare un attacco a fondo al piano economico”.
4 Non è una data che prendiamo a caso, ma che è stata indicata dal “programma comunista” n° 1, 1983, dove si spiega che i compagni di Benevento-Ariano Irpino, che lasciavano in quel torno il Partito, si erano visti costretti a compiere questo passo sulla base di un bilancio che identificava una degenerazione attivistica collegata al “lavoro che il partito nel suo insieme ha compiuto da alcuni anni a questa parte (si può dire a
partire dal 1974-75), attività che è, nella sua gran parte, documentata dalle prese di posizione del nostro giornale (in base alle quali il lettore ha dunque la possibilità di verifica)” (“Perché se ne vanno”, il programma comunista, n° 1, 1983). La confessione da parte del Centro di avere intrapreso una lotta politica per far trionfare un “Nuovo Corso” a partire proprio dal 1974 è d’altra parte formulata in modo ancora più esplicito nella “Traccia di riunione del Centro per il 17.10.82”, che recita testualmente: “La nostra analisi del partito non piatta, ma articolata, sulla lotta politica delle forze presenti nel partito. E’ l’evoluzione di una discussione che è iniziata nel partito sin dal 1974 e si è espressa in questi punti: valutazione gruppi, fronte unico, conferme dai fatti sociali, separazione con Ivrea-Torino e riunione del 7/8 marzo 1981”. Dopo l’esplosione del Partito, avvenuta il 17.10.82, il Centro italiano preconizzò la necessità di proseguire quella lotta politica “del resto già in corso nel partito da tempo” andando (senza ironia) ancora più a fondo: la Circolare centrale del 2.11.82 recitava infatti: “Deve continuare una battaglia contro posizioni «arretrate» e le forze che le sostengono all’interno ancora oggi”, rilevando come l’ultima R.G. (quella dell’esplosione) indicasse “la necessità di far fare un salto
di qualità alla nostra organizzazione”. Il salto di qualità “sulla via dell’instaurazione di un più organico metodo di lavoro interno”, rispetto a cui il Centro sentiva di doversi assumere la responsabilità di “permettere e favorire la più ampia discussione”, si concretizzò poi nell’esortazione: “usiamo il meccanismo democratico” (Bollettino n° 1, novembre 1982) e nella istituzione di un Comitato Centrale, espressione democratica delle Sezioni rimaste, che surrogò poi il Centro nel 1983 e diede vita a “Combat”.
5 “Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale – 1965” (“In difesa della continuità del programma comunista” pag. 180).
6 Vedi in proposito il successivo Punto n° 2.
7 “La manìa di usare il mio nome al posto dell’anonimo la hanno quelli soli che rifiutano i risultati del mio lavoro sistematico e scuotono la testa alle mie tesi” (Lettera a Perrone, 3.6.1953).
8 Il ripudio del partito-programma ha accomunato i liquidatori delle due successive ondate, quelli palesi che nell’82 volevano disciogliere il Partito nel “movimento sociale” e quelli più insidiosi del 1983, che volevano trasformarlo in uno dei tanti “nuclei” formativi di un Partito tutto da inventare. Gli uni e gli altri intendevano significare con questo ripudio il loro generoso ed antiaccademico desiderio di agire dimenandosi assieme agli altri gruppettari figli della degenerazione piccista piuttosto che della putrefazione interclassista del ’68. Ma non si accorsero, nel pronunziare quel ripudio, di aver confessato la loro completa abiura del marxismo: il partito-programma, infatti, è il Partito Storico, è il “Partito nella sua larga accezione storica”, di cui parlava Marx nella Lettera a Freiligrath del 29.2.1860. Ripudiare il partito-programma equivale a gettare alle ortiche il Partito Storico, che nulla è di diverso dal programma integrale del Comunismo, dal programma dell’Essere umano in quanto fondamento della vera Comunità. “Solo i gruppi che erano rimasti sul terreno del Programma integrale [dopo la disfatta del 1914] assicurarono la continuità dell’Essere
umano = partito-programma” (“Origine e funzione della forma partito”, il programma comunista, n° 13, 1961).
9 Vedi in proposito il Punto n° 3.
10 Gli epigoni del “Nuovo Corso” nel 1984 non ebbero l’ardire di enunciare la tesi della compatibilità tra adesione al Partito e fede religiosa, ma si limitarono ad esporre quella secondo cui la fede religiosa può costituire uno stimolo per la lotta anti-capitalistica, prendendo come esempio del tutto improvvido il ruolo svolto dalla “Teologia della Liberazione” in America Latina. Essi affermarono infatti che “un ribelle (se proprio non vogliamo usare il termine «rivoluzionario») può utilizzare, magari per un certo periodo,elementi della religione per dare forza ideale alla sua fisica spinta all’azione contro il capitale”(“Il coraggio e la sfida”, Combat n° 4, 1984). Stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo ” (P. Togliatti, “Il destino dell’uomo”, conferenza tenuta a Bergamo, in “Comunisti e cattolici”, Ed. Riuniti, 1966, pag. 91-95).
11 Nell’articolo “Contro i missili a Comiso e in qualunque altro posto” (il programma comunista, n° 1, 1983) , che appartiene alla serie che gli eredi legittimi del “Nuovo Corso” rivendicano, si ipotizzava ad esempio, che fosse possibile, a partire dalle iniziative pacifiste, “lo sviluppo di un movimento di massa in cui la lotta per la pace non sia subalterna a calcoli politici e dia corso ad iniziative effettive di lotta contro gli apparati militari e non soltanto ad appelli”, delineando in tal modo la possibilità che “l’incerto e confuso movimento” pacifista potesse “tuttavia produrre in alcune sia pur piccole frazioni una comprensione più ampia della posta in gioco” in forza dell’”intreccio di iniziative di lotta non soltanto simboliche e l’intervento politico polarizzatore dei comunisti”, ragion per cui, essendo le prime “in qualche misura condizionate dal secondo”, si preconizzava l’intervento del Partito “dall’esterno e dall’interno del movimento” pacifista allo scopo di radicalizzarlo.