La farsa elettorale ( riflessioni sul secondo dei 31 punti)

Nota redazionale: pubblichiamo la parte iniziale del secondo punto, chi vuole leggere la versione integrale, la troverà sotto la voce testi marxisti.

Il secondo punto analizza i prodromi del ‘nuovo corso’ presenti nella scelta di partecipare al referendum sul divorzio, alla metà degli anni settanta. Il testo mira anche a spiegare in modo dettagliato il dibattito e le scelte operate dal partito in merito alla questione elettorale, dagli anni venti ai tempi più recenti.

Lasceremo al lettore la scoperta dei contenuti analitici particolari del secondo punto, da parte nostra proveremo a riassumere il senso generale della nostra scelta astensionista.

L’astensionismo nasce da una valutazione materialistica del ruolo attuale del voto ‘democratico’, un ruolo sostanzialmente ininfluente e impotente a modificare il funzionamento delle leggi socio-economiche immanenti del capitalismo, e in definitiva a produrre un cambiamento della situazione reale. Il voto elettorale, almeno nel corso della storia reale, non ha mai sottratto alla classe borghese la sua posizione di privilegio, mantenuta attraverso il pugno di ferro della violenza latente/cinetica dello stato, e l’integrazione del proletariato con il guanto di velluto del welfare, previo snaturamento delle organizzazioni politiche e sindacali operaie. Abbiamo sottolineato in altri articoli la duplicità delle politiche economiche dei governi borghesi, cioè austerità/keynesismo, una duplicità funzionale alla conservazione del sistema, favoritrice di volta in volta, in base ai cicli economici espansivi e recessivi, singoli segmenti del capitale. Questa duplicità non significa una separazione netta nelle politiche economiche, poiché tutti i governi borghesi si barcamenano, pragmaticamente, fra i due estremi, cercando di favorire sia il capitale industriale ( con provvedimenti economici miranti al rilancio della domanda), sia il capitale finanziario possessore del debito pubblico ( con provvedimenti di taglio della spesa pubblica e di aumento della pressione fiscale). Ora, appurata questa modalità di funzionamento standard delle politiche economiche borghesi, è patetico pensare che il voto elettorale possa modificarla più di tanto. Anche nel campo della politica internazionale i governi borghesi, almeno quelli deboli e vassalli di potenze capitalistiche più forti, difficilmente possono derogare dagli obblighi previsti dai trattati (europei) o dai patti di alleanza (nato).

Dunque quale capacità di cambiamento ha il voto democratico verso la politica estera del proprio paese, quando questa è saldamente condizionata da patti e alleanze vincolanti, a loro volta risultato dei rapporti di forza esistenti fra le nazioni ?

Le stesse politiche di austerità, fortemente incidenti sul salario indiretto (pensioni, sanità pubblica, servizi sociali vari), non sono forse il viatico delle economie deboli verso le economie forti, dal momento che i tagli al welfare e l’aumento della pressione fiscale servono a creare le entrate di bilancio (pubblico) per pagare gli interessi sul debito dello stato ( al capitale finanziario) ?

Quali cambiamenti può ottenere il popolo elettore rispetto al quadro appena delineato?

In fondo gli stessi leaders e gli stessi governi borghesi sono inchiodati a recitare una parte, come scriveva Marx, sono  fondamentalmente delle maschere di carattere, degli attori caratteristi.

Si consideri questo altro aspetto essenziale: quale peso può avere il voto delle masse, in confronto ai processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali, e al riflesso accentratore/dirigistico che tali processi hanno sulla sfera politica?

Davvero ci illudiamo che la volontà di milioni di cittadini, espressa attraverso il voto elettorale, possa influenzare le decisioni delle elite borghesi che controllano e guidano i mostruosi apparati capitalistici contemporanei (simbiosi di struttura e sovrastruttura)?

Come ben ricordato nel punto due, il capitalismo monopolistico deve oggigiorno esercitare il governo politico prevalentemente con metodi dittatoriali, per fronteggiare il caos sociale e le minacce contro la propria esistenza determinate dalle sue stesse leggi di sviluppo. Sovrappopolazione, disoccupazione, miseria crescente rappresentano una mina sociopolitica a cui solo la violenza latente/cinetica dello stato può opporre un argine, ovviamente insieme alla metamorfosi di gran parte del proletariato, passivizzato e integrato nel sistema sotto forma di massa di organismi viventi parassitati dal capitale.

La metamorfosi cambia l’agire della classe proletaria in direzione della difesa del proprio sfruttatore, così come avviene spesso in natura, quando l’organismo infestato dal parassita inizia a comportarsi in modo funzionale alla sopravvivenza del parassita ( e di riflesso contro la propria esistenza).

Riteniamo allora, alla luce di quanto detto, che il popolo elettore possa davvero, nella sua grande maggioranza, esprimere un voto cosciente, fondato su una verosimile conoscenza dei fatti socioeconomici e politici?

Invece è molto probabile che il voto democratico rifletta innanzitutto la forza dell’ideologia borghese dominante, dei suoi modelli culturali, dei suoi stili di vita, sui proletari, per quanto il contenuto di tali fattori di condizionamento sia lontano dagli interessi reali dei proletari.

Il secondo punto spiega che negli anni 20, quando si delineò la soppressione fascista del Parlamento, allora il partito decise di avere una presenza simbolica in parlamento, per denunciare con i mezzi a disposizione la scelta borghese di gettare la mascheratura democratica. Dunque in quel contesto una pattuglia di parlamentari ha agito come forza di denuncia e propaganda politica.

Altra situazione è quella italiana ed europea esistente dal dopoguerra ad oggi, dove non avrebbe senso una azione del genere, poiché la borghesia utilizza bastone e carota contemporaneamente attraverso l’operato dei regimi politici demofascisti.

 

 

Punto n°2: regressione ai metodi schedaioli e democratici

L’ASTENSIONISMO COMUNISTA E’ INTEGRALE E DEFINITIVO, E QUINDI
ESCLUDE PER SEMPRE OGNI RICORSO AI FRADICI MECCANISMI DELLA
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA ED A QUELLI, ANCOR PIU’ INSIDIOSI,
DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA. E’ noto che nell’immediato dopoguerra il
nostro Partito (all’epoca P.C. Internazionalista) non solo non escluse in via
ipotetica la partecipazione alle sagre schedaiola della democrazia rappresentativa,
sia pure nel quadro tattico del “parlamentarismo rivoluzionario”, (1) ma presentò dei suoi candidati alle elezioni (2). Tale evidente sbandata, che era spiegabile ma non giustificabile sulla base delle attese di un nuovo dopoguerra rosso, fu poi
corretta dal Partito stesso, che dimostrò a questo modo la sua capacità di
recuperare la rotta momentaneamente perduta sulla base della utilizzazione
della bussola marxista.  La prospettiva leninista del cosiddetto “parlamentarismo rivoluzionario” fu infatti in seguito definitivamente sepolta dal Partito alla luce del bilancio  dinamico di mezzo secolo di battaglie e di sconfitte del movimento proletario: “Il  parlamentarismo, seguendo lo sviluppo dello Stato capitalista che assumerà
palesemente la forma di dittatura che il marxismo gli ha scoperto sin dall’inizio, va
man mano perdendo d’importanza. Anche le apparenti sopravvivenze degli istituti
elettivi parlamentari delle borghesie tradizionali vanno sempre più esaurendosi
rimanendo soltanto una fraseologia, e mettendo in evidenza nei momenti di crisi
sociale la forma dittatoriale dello Stato, come ultima istanza del capitalismo, contro
cui ha da esercitarsi la violenza del proletariato rivoluzionario. Il partito, quindi,
permanendo questo stato di cose e gli attuali rapporti di forza, si disinteressa
delle elezioni democratiche di ogni genere e non esplica in tale campo la  sua attività” (3). E la sua parola d’ordine, pertanto, non può essere che una sola: “volga le terga per sempre, il proletariato, all’ignobile teatro dei pupi, e cerchi L’ossigeno delle grandi battaglie passate e avvenire –per dirla con Trotski- là dove è solo possibile respirarli: fuori da quelle mura, sulle piazze!” (4).

1 “Comunque, quale che possa essere la tattica del partito (di partecipazione alla sola campagna elettorale con propaganda scritta ed orale; di presentazione di candidature; di intervento nel seno dell’assemblea) questa si dovrà ispirare non solo ai principii programmatici di esso, ma alla aperta
proclamazione che in nessun caso la consultazione col meccanismo elettivo può consentire alle classi sfruttate di dare adeguata espressione ai loro bisogni e ai loro interessi e tanto meno di pervenire alla
gestione del potere politico” (“La piattaforma politica del Partito”, 1945).
2 Negli anni successivi la tattica del “parlamentarismo rivoluzionario” fu effettivamente praticata dal P.C.
Internazionalista e precisamente in occasione delle elezioni politiche del 1948: “Nel 1947, valutando come la situazione internazionale rendesse impossibile la continuazione della collaborazione governativa delle
sinistre, Battaglia Comunista correttamente prevede l’aprirsi di una nuova fase massimalista del PCI in cui  la fraseologia anticapitalista nei fatti tende a coprire la tradizionale politica filo-russa a livello
parlamentare ed elettoralistico. L’analisi è come sempre lucida e corretta, molto meno le implicazioni politiche che ne vengono fatte derivare. Nella convinzione che il manifesto fallimento della politica togliattiana apra consistenti spazi a sinistra gli internazionalisti decidono di partecipare alle
elezioni del 1948, raccogliendo nelle pochissime circoscrizioni in cui si presentano poco più di 20 mila voti. Un risultato non disprezzabile, ma certamente di molto inferiore alle attese. Il fallimento
delle speranze elettorali riattizza le polemiche fra le varie anime del partito”, per cui “nel Congresso di Firenze (maggio 1948) lo scontro è furibondo” (“Materiali per la storia della Sinistra”, Quaderni del Centro
di Documentazione sull’età contemporanea di Savona – Gennaio 2003, Nuova Serie) fra la corrente che di lì a 5 anni darà vita al periodico “il programma comunista” -e che rappresenta la autentica continuità storica
della Sinistra- e quella che, facendo valere la proprietà giuridica della vecchia testata, proseguirà a pubblicare “battaglia comunista” e “prometeo”. 3 “Le Tesi caratteristiche del Partito”, 1951 – Parte IV. 12.
4 “O preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale”, Ed. il programma comunista, Parte V, “Bilancio

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