Nota redazionale: Abbiamo letto, nel capitolo nove, che il partito storico, ovvero la teoria invariante ‘umana’ trascende i limiti di una contingente situazione di ripiegamento del conflitto sociale. Questa teoria esiste al di là delle vicende immediate, e in fondo di noi stessi, essa risplende come ‘corpo di gloria’ nei testi in cui è conservata la conoscenza della vita nata dall’esperienza. Il partito è l’anima e lo spirito rivoluzionario della classe proletaria, in quanto soffio vitale che ne ‘anima’ il corpo, è il programma comunista della specie umana, il suo DNA, il seme di un futuro possibile, la cui orribile alternativa è la mineralizzazione del pianeta. Quando la classe è troppo subordinata al sistema, il partito formale ( che è tale solo a patto di riuscire a resistere sulle linee dorsali del partito storico, cioè della teoria marxista) deve astrarsi dalla fisica della classe, deve andare oltre le sue miserie contingenti per conservare se stesso, e in questo senso esso è metafisico. Dunque quale senso avevano, all’epoca, le elucubrazioni del ‘nuovo corso’ sulla necessità del riconoscimento del ‘nucleo partito’ da parte della classe? Citiamo un passaggio illuminante del punto 10 che critica tali elucubrazioni: ”Se si tengono fermi i postulati marxisti, inoltre, si incappa in un evidente vizio logico: la classe operaia, che senza il Partito non esiste, dovrebbe in fatti riconoscerlo affinché esso possa cominciare ad esistere. Si giunge così all’annullamento reciproco di entrambi i lati del rapporto: il Partito non vedrà mai la luce perché la classe capace di riconoscerlo, e quindi di farlo esistere non potrà mai nascere, e non potrà mai nascere perché non potrà mai incontrare nel suo cammino alcun Partito, mentre la borghesia, nel frattempo, si sarebbe conquistata il privilegio dell’immortalità … Concludendo: il Partito Comunista è una organizzazione che deriva la propria legittimazione esclusivamente dal proprio programma o non è”.
Buona lettura
Punto n°10: rapporto tra Partito e classe
IL PARTITO COMUNISTA, IN PERFETTA COERENZA CON LA SUA NATURA ANTIDEMOCRATICA, TRAE IL SUO MANDATO STORICO SOLO DA SE STESSO E RESPINGE LA BRAMOSIA RICORRENTE DI RICONOSCIMENTI E DI LEGITTIMAZIONI DA PARTE DELLE ALTRE CLASSI O DEGLI STESSI OPERAI COME UNA RECIDIVA DI LEBBRA DEMOCRATICA. Il Partito è tale perché vive scomodamente, perché lungo tutto l’arco storico del suo cammino, se non può fare di peggio, quantomeno dice cose sgradevoli per la classe dominante, cose che offendono i benpensanti, che lo mettono in cattiva luce, insomma che danno fastidio ai corifei dell’ordine costituito. Altrimenti vuol dire che si sta trasformando in qualcosa d’altro, che ha cominciato a non essere più il Partito della rivoluzione. Il Partito pertanto non potrà mai non diciamo essere blandito e corteggiato dai “comitati contro la repressione” piuttosto che dai “comitati per la difesa della memoria dell’Olocausto”, ma neppure essere riconosciuto da costoro come un interlocutore “affidabile”. Sarà al contrario sempre additato dagli uni e dagli altri come un partito-canaglia, come un insieme di gente perduta per la “civile e democratica convivenza” e con cui non si può ragionare se non con la rivoltella alla mano. Non sarà mai “riconosciuto” da nessuno, né dalla classe finché è asservita all’ideologia dominante, né – tanto meno- dalla borghesia: questa è la bussola, giusta Carlo Marx. Perché è stato proprio lo “stolto” Marx a scrivere che “il nostro mandato di rappresentanti del partito proletario noi non l’abbiamo che da noi stessi. Ma esso è controfirmato dall’odio esclusivo e generale che tutte le frazioni del vecchio mondo e dei suoi partiti ci riservano” ( 1). Il Partito infatti non può attendere di essere “riconosciuto” e proclamato tale, magari a maggioranza, da una classe che ancora non esiste, e neppure si aspetta di ricevere questa investitura dagli avversari, che casomai si limitano a controfirmarla. Nota bene: la controfirma viene dall’odio del nemico di classe, non da un riconoscimento da esso gentilmente elargito. Ma ciò che più conta è che, escludendo anche una qualsiasi forma di dipendenza del Partito dal consenso espresso dal movimento operaio, Marx ha fatto a pezzi anche l’ultimo vestigio di democratismo. Questa visione bastarda, la lasciamo volentieri agli epigoni brigatisti della resistenza, che non a caso latravano e guaivano in vista della agognata “legittimazione” da parte dello Stato, o –il che è lo stesso- nella speranza, rivelatasi poi vana solo fino ad un certo punto, del “riconoscimento” dello status di prigionieri politici … Il Partito, dice Marx, la sua investitura storica se la dà da sé, non la attende da altri. Ripetiamo: noi comunisti non possiamo chiedere né alla classe operaia né alla borghesia alcun “riconoscimento”, che equivale al vecchio concetto di “fare la rivoluzione con l’autorizzazione dei carabinieri”. Al contrario: siamo noi che possiamo e dobbiamo negare ogni “riconoscimento” ad entrambe, nel senso che dichiariamo virtualmente defunta e quindi inesistente fin d’ora la borghesia (2), e non ancora
esistente la classe operaia. Il Partito, per quanto “invisibile”, è l’unica categoria realmente esistente. Ciò che è reale non può chiedere ai non-esistenti, agli abitanti del mondo delle ombre, di rilasciargli un qualsiasi “certificato di esistenza in vita”. Quand’è infatti che l’attuale “nucleo” -come dicono in coro tutti i figli del “Nuovo Corso”, che introdusse questo infelice termine- potrà dire di essere finalmente diventato quello che voleva essere? quando avrà dimostrato a sé ed agli altri, ai proletari e alla stessa borghesia, di essere veramente il Partito Comunista. E quand’è che potrà rendersi conto di essere giunto a tanto, se non quando il proletariato ed il nemico di classe glie ne daranno atto, riconoscendolo come il gruppo politico più coerente sul terreno della lotta politica rivoluzionaria? Fino ad allora –secondo gli esponenti di un “marxismo” evirato ed inoffensivo- l’attuale compagine organizzata non avrebbe alcun diritto di autoproclamarsi Partito di classe, ma avrebbe il diritto e il dovere di ammettere di essere quello che è, e cioè -per l’appunto- solo un nucleo del futuro Partito rivoluzionario. Con questa impostazione giuridica si naviga a vele spiegate verso il cretinismo democratico integrale: alla “stolta” auto-proclamazione rivendicata da babbo Marx si contrappone infatti la delega alla classe operaia a legittimare il Partito per ciò che esso è. Il Partito, che dovrebbe indirizzare e guidare la classe verso i suoi scopi, il Partito, senza il quale la classe ancora non esiste se non come classe per il capitale, dovrebbe quindi aspettarsi da quest’ultima la propria investitura, dovrebbe attendersela cioè da un agglomerato statistico di una umanità annientata e stritolata fisicamente e mentalmente dal regime di fabbrica. Complimenti davvero ai “marxisti raffinati” di ieri, di oggi e di domani: da qui alla conquista del titolo di apologeti del capitalismo e di campioni della sagra schedaiola non c’è che un passo …
Se fosse vero infatti che il Partito, per poter proclamare di essere ciò che realmente è, dovesse prima dimostrare al proletariato di essere il raggruppamento politico più coerente sul terreno della lotta classista e rivoluzionaria, ciò significherebbe che il Partito diventa veramente tale di nome e di fatto solo nel momento in cui la classe operaia gli attesta, col suo consenso, che esso è coerente coi suoi propri obiettivi, riconoscendolo e legittimandolo come Partito. E’ proprio lì la rogna democratica che ritorna, con tutti i suoi pruriti giuridici di legittimità, perché, come al solito, ci si crede rivoluzionari e ci si ritrova invece … legittimisti. Oltre che democratici. Quanto dovrebbe essere vasto, infatti, questo consenso? Come lo misuriamo? coi sondaggi d’opinione, oppure a occhio e croce, oppure col voto? Se si tengono fermi i postulati marxisti, inoltre, si incappa in un evidente vizio logico: la classe operaia, che senza il Partito non esiste, dovrebbe infatti riconoscerlo affinché esso possa cominciare ad esistere. Si giunge così all’annullamento reciproco di entrambi i lati del rapporto: il Partito non vedrà mai la luce perché la classe capace di riconoscerlo, e quindi di farlo esistere non potrà mai nascere, e non potrà mai nascere perché non potrà mai incontrare nel suo cammino alcun Partito, mentre la borghesia, nel frattempo, si sarebbe conquistata il privilegio dell’immortalità … Concludendo: il Partito Comunista è una organizzazione che deriva la propria legittimazione esclusivamente dal proprio programma o non è. Chi afferma il contrario, chi si compiace di utilizzare espressioni mutuate dal linguaggio dei gazzettieri borghesi per dire che il Partito non sarebbe un’organizzazione “autoreferenziale”, non fa che adattarsi al capitalismo, mutuando non solo le forme ma anche i contenuti del regime sociale esistente. Non fa che importare all’interno del Partito le ordinarie concezioni vigenti al di fuori di esso, e cioè nella società e nella politica borghesi, dove ogni ditta ed ogni partito traggono la loro legittimità dal reciproco riconoscimento in quanto sono elementi del medesimo gioco, anelli della stessa catena. Ma il Partito Comunista è altro, è l’anticipazione di un assetto sociale che fa parte del futuro. Ed è cosa molto grave per dei comunisti il fatto di dimenticarsene.
1 Marx a Engels, 18.5.1859, citazione tratta dal nostro “Origine e funzione della forma partito” (il programma comunista, n° 13, 1961).
2 “Una volta scoperto che la chiave del meccanismo del sistema capitalistico non è la brama di capitalisti personali di godere dei profitti, ma è la impersonale esigenza del capitale sociale di aumentarsi di plusvalore, forza sociale che solo una Rivoluzione potrà abbattere, resta dimostrata la necessità della morte del capitalismo, e quindi la sua scientifica non-esistenza potenziale dichiarata da Marx” (“Scienza economica marxista come programma rivoluzionario – Il capitalismo «non esiste»” (Raccolta delle Riunioni di Partito, Volume N. 6, pag. 146).