Punto 11: tattica del partito verso le altre forze politiche

Nota redazionale: intorno alla metà degli anni sessanta furono fissati in modo inequivocabile, in alcune riunioni generali del partito comunista internazionale, le caratteristiche specifiche del ruolo dell’organizzazione formale allora esistente: ovvero le caratteristiche del partito e le derivate metodologie di azione.

Rivendicando il partito formale la capacità di resistere sulle dorsali del partito storico, ed essendo il partito formale solo in ragione di questa capacità, si concludeva che il piccolo partito comunista internazionale possedeva il bagaglio (teorico-programmatico ) necessario e sufficiente per affrontare una eventuale ripresa dello scontro di classe, in altre parole esso possedeva tutti gli attributi per dirigere la classe verso la sua missione storica. Ovviamente tale condizione era sempre legata alla capacità di analizzare con successo le dinamiche complesse del capitalismo, in altre parole il collegamento autentico con la teoria marxista,  rivendicato da un certo partito formale, veniva sperimentalmente verificato dalla sua capacità di vedere la realtà del capitalismo, il livello di scontro fra le classi, i rapporti di forza fra borghesia e proletariato e fra le stesse borghesie nazionali concorrenti. Da questa capacità discendeva ovviamente una linea di azione realistica e adeguata al periodo storico. Nel momento in cui il nuovo corso, e non solo esso, iniziarono a definire il piccolo partito formale un nucleo in via di ampliamento tramite l’aggregazione di avanguardie CLASSISTE, in realtà spezzoni di gruppuscoli politici ormai estinti, non fecero altro che ripetere l’errore dei fronti democratici fra forze politiche eterogenee.

Alla faticosa attività di contatto e propaganda con i proletari d’avanguardia, che nel corso della lotta possono raggiungere un livello di coscienza avanzato anche non militando nel partito formale, il nuovo corso sostituiva il connubio/matrimonio con i reduci politici di gruppuscoli ormai estinti per le proprie interiori lacune politiche e teoriche. La fregola attivistica che aveva caratterizzato questi gruppuscoli si incrociò infine con la deformazione delle tesi caratteristiche della corrente compiuta dal nuovo corso. Alla fine fu l’orgia del movimentismo politico, in assenza di un corrispondente movimento sociale di lotte operaie. Abbandonando le lezioni della storia, condensate nelle tesi caratteristiche del partito elaborate dai ”vecchi compagni”, la cosiddetta centrale andò infine incontro alla sventura. Nella tragedia di Sofocle, il protagonista, Edipo, lo scioglitore dell’enigma della Sfinge, dopo avere scoperto l’orribile verità su se stesso, rifiuta la corona di re, si ritira a Colono, e qui conquista la saggezza. Ma la saggezza appare nel momento in cui Edipo rinuncia ai suoi sogni di gloria, ai suoi stessi occhi, il suo autoaccecamento gli apre le porte della vera conoscenza.

Siamo sicuri che le lezioni della vita inducano sempre tutti a pensieri di saggezza?

 

 

 

Buona lettura

 

 

Punto n°11: tattica del Partito verso le altre forze politiche

CONTRO LA NUOVA DOTTRINA DELL’EMBRIONE O DEL «NUCLEO DI
PARTITO» E LE «ATTRAZIONI FATALI» CHE NE EMANANO E CHE SOSPINGONO INVARIABILMENTE ALL’ACCOPPIAMENTO DI SPECIE STORICHE DIVERSE. Il Partito Formale è tale in quanto compagine fisica
contingente di militanti che si allinea al Partito Storico. Esso si definisce ed è
realmente il Partito della rivoluzione non perché è più o meno grande, potente ed
influente, ma solo perché si attesta solidamente su quella ben definita ed unica
linea, che contraddistingue il Partito Storico: “non esiste adunque un rapporto definito o definibile tra gli effettivi del partito e la grande massa dei lavoratori.
Assodato che il partito assolve la sua funzione come minoranza di essi, sarebbe
bizantinismo indagare se esso debba essere una piccola o una grande minoranza”
(1). Il Partito Formale nasce pertanto dallo sforzo di un insieme di militanti di
ricollegarsi a un vettore che in tanto è il vettore della rivoluzione in quanto è una
freccia che attraversa la storia dirigendosi verso un unico obiettivo, in quanto ciò che lo caratterizza è un solo ed invariante programma, e non un assieme di
proposizioni eterogenee tratte da diversi programmi e orientate verso obiettivi
contrastanti tra loro. E’ per questo che, seguendo la tradizione della Sinistra,
occorre ribadire che “il Partito, ucciso goccia a goccia da trent’anni di avversa bufera, non si ricompone come i cocktails della drogatura borghese” (2) e che da parte nostra “non si considera il Partito come un integrale di gruppi e nuclei” (3). E’ per questo che il Partito Formale non può nascere da quadrifogli o matrimoni di gruppo, che non può sorgere da ibridazioni tra “nuclei” o “circoli” eterogenei, che in tanto sono infeconde in quanto gli accoppiamenti di specie storiche differenti sono sempre sterili o abortivi. Dai circoli e dai nuclei possono
sorgere infatti solo quegli aborti viventi che sono i partiti operai-borghesi, corifei
bastardi del sistema capitalista dotati di deretano proletario e cervello borghese
perché questo è l’unico risultato possibile del fatto di aver integrato vettori storici tra loro opposti. Il Partito Comunista si attende la propria crescita dall’affluire di proletari puri sospinti dall’esplodere dei contrasti di classe verso le posizioni che sono sue e di nessun altro. La cosiddetta “forza centripeta”,
ovverosia il nucleo aggregante e restaurante di un Partito comunista tutto “da costruire” o, se si preferisce, “da inventare”, si propone al contrario di crescere, per l’appunto, aggregando altri nuclei o frammenti di partiti. Quindi inizia fin d’ora, come è stato detto da alcuni nostri contraddittori privi persino del senso dell’umorismo, a rendersi “fisicamente attraente”, ossia a sculettare in modo
da adescare quelle che nel 1982 erano le famose “avanguardie” e che adesso sono
diventate delle quantiche ma non meglio definite “energie” provenienti da una
dinamica che comunque è già in movimento (come gli autobus, e che, come gli autobus, si tratta solo di agguantare per non restare a piedi) e che attraversa Partiti e militanti politici e sindacali. E’ una minestra che conosciamo bene perché ci è stata già propinata dal “Nuovo Corso” ben prima del 1982. Attrarre queste “energie” o queste “avanguardie” (di eserciti inesistenti o in via di
estinzione ed inoltre novantanove volte su cento non proletari) servirebbe
all’organizzazione attuale, al “nucleo” per crescere più rapidamente, annettendosi in un sol colpo le “avanguardie” ed il loro seguito, le “energie” e quanti da esse magnetizzati. Si tratta di un espediente inteso a superare il
“ritardo del Partito” –o, meglio, del “nucleo”- rispetto alla presunta maturazione della lotta di classe, e ad evitare che esso si presenti all’appuntamento con la rivoluzione in uno stato di eccessiva gracilità organica. Non è certo una novità: già nel 1975 infatti, delineando la prospettiva di un malinteso “fronte unito proletario” inteso ad affasciare non solo i proletari più combattivi, ma anche gli pseudorivoluzionari di tutte le specie zoologiche, si individuava infatti “il doppio
compito di costruzione e rafforzamento del partito «a contatto con la classe operaia» e di attivo aiuto in tutte le situazioni in cui si pongono la lotta e l’organizzazione di difesa degli operai in quanto tali” da un lato come “proiezione del partito –o «nucleo», come si preferisce- verso l’esterno, cioè verso il movimento operaio nelle condizioni date” e dall’altro come “l’arricchimento, se ci è permesso il termine, del partito in tutti i suoi aspetti di organo «operativo» che si appropria
di forze e di esperienze in questa attività” (4). Non è una questione terminologica: a parte l’infelice sortita sulla “costruzione del Partito”, il fatto essenziale è che Partito e nucleo non sono la stessa cosa, come il passaggio sopra
riportato avrebbe voluto far credere ai gonzi. Non si parla di Partito o nucleo a caso, o “come si preferisce”.
La “effettiva ripresa del movimento rivoluzionario”, secondo quanto le nostre “Tesi caratteristiche” avevano stabilito, “si basa sulla reale maturità dei fatti e del
corrispondente adeguamento del partito, abilitato a questo soltanto dalla sua
inflessibilità dottrinaria e politica” (5). Quel “soltanto” significa che il piccolo partito formatosi nel secondo dopoguerra riteneva nel 1951 di possedere in
forza della sua coerenza col Partito Storico TUTTI i requisiti per diventare in seguito “adeguato” alla reale “maturità dei fatti”, ossia DI POSSEDERE IL NECESSARIO ED IL SUFFICIENTE per divenire il “partito compatto e potente” di cui la Rivoluzione avrà bisogno. E infatti in un altro nostro testo del 1951 si afferma che “il partito esclude assolutamente che una accelerazione del processo [della ripresa rivoluzionaria, NdR] maggiore di quella che deriva, oltre che dalle cause sociali profonde, dall’opera non clamorosa di
proselitismo e propaganda coi ridotti mezzi possibili, si possa trarre da risorse, manovre, espedienti che facciano leva su quei gruppi, quadri e gerarchie che, usurpando il nome di proletari, socialisti, comunisti, dominano oggi le masse” (6) o –aggiungiamo noi- da manovre che pretendano di arricchirlo
appropriandosi di forze ed esperienze che derivano dai prodotti della successiva
decomposizione di quei gruppi, quadri e gerarchie. Ed è proprio perciò che le “Tesi
di Napoli”, a distanza di 14 anni, definiscono la nostra organizzazione come un ‘piccolo partito” e non come un “nucleo”: “va respinta la posizione per cui il piccolo partito si riduca a circoli chiusi senza collegamento coll’esterno” (7).
Se dal 1975 in avanti si parla invece di nucleo piuttosto che di Partito, è perché si intende qualcosa d’altro, e cioè che l’organizzazione esistente è una compagine fisica di militanti che non possiede tutto ciò che le serve per diventare il ‘Partito compatto e potente di domani” e che, pertanto, si attende di acquisire ciò che le manca dal dialogo e dal confronto più o meno camuffato con altri nuclei e dall’arricchimento che spera di ricavare dalla appropriazione di forze ed
esperienze altrui che tale fecondo dialogo renderà possibile. Lo affermerà
esplicitamente a distanza di due anni rispetto al vaniloquio sul “fronte unito proletario” l’articolo “Sulla via del «partito compatto e potente» di domani”: “sarebbe un errore ritenere che il partito, essendo in possesso fin dalla nascita di un patrimonio completo ed omogeneo di posizioni teoriche e programmatiche e di indirizzi tattici, abbia con ciò non solo tutto il necessario (il che è vero), ma anche il sufficiente per non mancare allo storico «appuntamento» con il movimento reale quando esso esploda sotto la spinta di determinazioni materiali” (8),
vietandosi in tal modo di opporsi seriamente alla teoria del “crogiuolo”, che pure
quell’articolo pretendeva di combattere, ed approdando ad una formulazione
profondamente errata, che, postulando l’organizzazione esistente come un
“nucleo sì, ma di partito” (9), capovolgeva il limpido dettato delle nostre “Tesi
caratteristiche”. A nulla vale infatti ripetere mille volte che il “nucleo di partito” non intende addivenire a confronti e dibattiti con le avanguardie esterne, ma vuole crescere solo sulle sue proprie basi: una volta escluso l’errore “meccanicista e fatalista” secondo cui il piccolo partito di oggi possiede tutto ciò che gli occorre per diventare il Partito della Rivoluzione, una volta ammesso che l’attuale “nucleo di partito”, viceversa, non ha in sé tutto ciò che gli serve (e quindi non solo il
necessario, ma anche il sufficiente) per crescere e divenire, quando sarà venuto il
momento, il “vero” Partito capace di guidare il proletariato nell’assalto finale ai poteri statali borghesi; una volta frantumato, insomma, quello che è il criterio base che definisce il Partito in quanto Partito, è inutile rincorrere i buoi che sono ormai scappati dalla stalla. E’ inutile negare a parole di voler addivenire a
confronti e dibattiti con le suddette avanguardie, perché si tratta solo di
kautskismo risorgente e tenace. Perché si tratta, proprio come nel caso della
socialdemocrazia tedesca, di una ortodossia apparente. Perché la sua anima
opportunista è subito tradita e svelata già soltanto da quel maldestro riferimento
a un non meglio definito “movimento reale”, ad un “movimento” cioè la cui fisionomia classista resta nel limbo della più completa indeterminatezza.
Proprio perciò quell’ortodossia di facciata era destinata inevitabilmente a liquefarsi al primo urto, come poi l’esperienza si incaricherà puntualmente di dimostrare. Il “nucleo”, sia pure “nucleo di Partito”, non è infatti un Partito in piccolo. Non è un Partito che, pur nei limiti del perimetro ristretto in cui la
controrivoluzione lo costringe ad agire, svolge tutte le funzioni che gli sono
proprie, ma è, che lo si voglia ammettere o no, un Partito monco. E’ proprio perché il nucleo non è un Partito su scala ridotta o, se si vuole, microscopica, che si fu e si è costretti anche adesso ad utilizzare un termine nuovo e diverso, che altrimenti non avrebbe avuto ragion d’essere. Ed è in quest’ottica, in cui i due termini di “Partito” e di “nucleo” non sono affatto interscambiabili a piacere, che si opinava infatti -allora come oggi- che il “nucleo” sarebbe diventato Partito
arricchendosi -termine cui, secondo la Sinistra, bisogna sempre guardare con
sospetto anche quando non si riferisce alla sfera della pura dottrina (10)- grazie alla sua attività esterna, e cioè appropriandosi di forze politiche e di esperienze di lotta ad esso estranee, e che si identificavano nelle
“avanguardie” pseudo-rivoluzionarie, con cui lavorava gomito a gomito in quei fronti unici politici (o “intergruppi”) che novantanove volte su cento gli “organismi proletari immediati”, nelle condizioni date, si riducevano ad essere; pena il fatto, in caso contrario, che “l’organo stesso che si deve costruire [e dalli!] (11)”, e cioè il nucleo in via di farsi Partito, fosse condannato al “rachitismo” (12), e cioè a rimanere per sempre niente più di un nucleo, niente più di un semplice conato verso un Partito sempre più lontano. L’errore compiuto nel 1975, lungi dall’essere corretto sulla base della sana dottrina, fu quindi testardamente ribadito nel 1977, con l’aggravante di rivestirlo di un manto di ortodossia, mentre la
preoccupazione per la gracilità del Partito si trasformava in una vera e propria
ossessione del “rachitismo” e quindi nella smania di superarlo ad ogni costo. Fino
al punto di giungere, nel 1981, a teorizzare che l’accrescimento quantitativo del
Partito potesse derivare dalla attrazione delle “avanguardie” al suo interno (13), col
risultato di stravolgere completamente i termini della questione. E’ vero infatti in
linea generale che è ben possibile (e nelle fasi di ripresa della grande lotta di classe sarà non solo possibile, ma necessario) che delle avanguardie classiste (e quindi operaie) si formino al di fuori del perimetro del Partito come espressione di lotte proletarie da cui si sprigiona una sia pur embrionale coscienza di classe, e che è quindi da respingere come metafisica la pretesa che il Partito in quanto
avanguardia politica della classe operaia debba necessariamente ed in ogni
momento inglobare al suo interno tutti gli strati operai che, per la loro risolutezza
e consapevolezza, precedono il grosso della truppa. Ma ciò che è completamente
assurdo ed antimarxista era ed è il fatto di ritenere che tali avanguardie classiste
fossero presenti sulla scena sociale nel 1975 o nel 1977 o nel 1981 o che siano presenti oggi, insomma che esse possano sorgere quando ancora la cappa di piombo della controrivoluzione pesa come un macigno sul proletariato e una ripresa della lotta autonoma della classe operaia ancora è ancora di là da venire, e dunque quando, non esistendo un esercito proletario in lotta contro il capitalismo, non se ne possono certo scorgere da nessuna parte le
“avanguardie”. Il risultato di una simile pretesa fu ancora più disastroso in
quanto si giunse, in mancanza di meglio, ad identificare tali avanguardie CLASSISTE con le sedicenti avanguardie POLITICHE presenti sul proscenio, ovvero con i gruppuscoli di falsa sinistra che il Partito aveva sempre in passato denunciato come delle semplici varanti dell’opportunismo. Attraverso questa
astuta scorciatoia il Partito eviterebbe infatti, oggi come ieri, di sobbarcarsi la difficile e lunga opera finalizzata alla penetrazione diretta tra le masse operaie, dedicandosi piuttosto ad attrarre a sé le “avanguardie” politicizzate, che poi si
porterebbero dietro le “masse”. Piegandosi al criterio borghese del “massimo.risultato col minimo sforzo” il Partito potrebbe ottenere in breve tempo una non trascurabile crescita quantitativa: basta infatti un po’ di maquillage, qualche.strizzatina d’occhio al momento giusto e il gioco è fatto. Dopo aver liquidato, beninteso, i compagni “impresentabili”, quelli che fanno fare cattiva figura in società. I nostri contradditori potrebbero obiettare che siamo dei paranoici e che se una “avanguardia” politica o sindacale entra nel Partito è perché è diventata a tutti gli effetti comunista, e quindi non c’è nulla di male se questa “avanguardia”,
divenuta comunista, induce un avvicinamento al Partito anche tra i suoi ex gregari, portandosi dietro un certo gruzzolo di organizzati. Questo ragionamento è
completamente falso: se veramente la suddetta “avanguardia” politica o
sindacale diventa comunista (e per noi lo diventa solo dopo averla fatta
peregrinare per anni nel deserto, come fece Mosè con gli Ebrei dopo la schiavitù
in Egitto, affinché perda anche la memoria della sua precedente schiavitù ideologica), allora non può portarsi dietro nessuno di coloro che ne seguivano prima le indicazioni. Se un parroco comunica dal pulpito ai suoi fedeli che si è reso conto di averli sempre turlupinati, che dio non esiste, che si è iscritto alla ‘Lega dei Senza-dio” e che li invita a seguirlo per meglio distruggere la Chiesa e le
sue opere, fino a quel momento energicamente perseguite da tutto il gregge dei fedeli, stiamo pur certi non soltanto che non troverà un cane disposto a seguirlo,
ma che rischierà fortemente di essere preso a legnate dai fedeli inferociti. Ma se
quel parroco rassicura i fedeli che aderendo tutti quanti ad un non meglio definito “Partito Comunista” potranno proseguire con maggior efficacia a fare esattamente le stesse cose di prima, sia pure presentate in forma un po’ diversa, allora è possibile che una parte almeno dei fedeli lo segua. Fuor di metafora: presumere che le pecorelle seguano la presunta “avanguardia” che ha in ipotesi aderito al nostro Partito equivale a confessare che le si concederà di
continuare -in forma un po’ diversa e con diversi orpelli ideologici- a fare
esattamente le stesse cose di prima, ovvero proseguire un’attività che è agli antipodi del comunismo rivoluzionario. Senza considerare poi il fatto che, in una
situazione come quella vigente allora ed oggi, caratterizzata dall’assenza di qualsiasi accenno di una non effimera ripresa classista, l’unica dinamica che è in
atto e che coinvolge militanti politici e sindacali è la dinamica, ormai in fase
avanzata, della putrefazione sia dei partitacci stalinisti sia delle formazioni politiche sorte da una falsa reazione contro lo stalinismo.

 

1 “Partito e classe”, pag. 40.
2 Prefazione al “Dialogato coi Morti”.

3 “Appunti per le tesi sulla questione di organizzazione”, 1964.

4 “Fronte unito proletario e organizzazioni tradizionali oggi” il programma comunista, n° 1. 1975.
5 “Tesi caratteristiche del Partito” (1951).

6 “Riassunto delle tesi esposte alla Riunione di Firenze, 8-9 Settembre 1951” Dall’opuscolo Sul Filo del
Tempo, pubblicato dal Partito Comunista Internazionalista nel maggio del 1953.
7 “Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della sinistra comunista (Tesi di Napoli)”, 1965, Punto n°9.

8 “Sulla via del «partito compatto e potente» di domani”, il programma comunista, n° 18, 1977.

9 Ibidem.
10 Caratterizza infatti la nostra corrente “la tesi centrale della invarianza opposta alla eresia dell’arricchimento del comunismo marxista” (“Tavole immutabili della teoria comunista del Partito”, il programma comunista” n. 5 del 1960).

11 “Fronte unito proletario e organizzazioni tradizionali oggi” il programma comunista, n° 1. 1975. Nel 1975 era ormai diventato lecito persino affermare che il Partito “si costruisce”! “Partito e azione di classe”, dove si dice che “non si creano né i partiti né le rivoluzioni. Si dirigono i partiti e le rivoluzioni”,
evidentemente era stato usato come carta da cesso… E il medesimo destino era stato riservato anche ad un altro fondamentale testo (Il partito comunista, Ordine Nuovo del 1 maggio 1921), in cui la Sinistra afferma
che i Partiti comunisti non si costruiscono, ma si formano: “I Partiti della classe proletaria non sono solo i depositari della esperienza critica che discende dalle alterne vicende della lotta di classe, ma sono risultati reali della lotta stessa e si formano e si decompongono secondo un processo che
segue le fasi della vita del mondo capitalistico, che ne è il riflesso e l’effetto, mentre costituisce la parte più suggestiva del fenomeno per cui, nel suo evolvere, il regime presente enuclea dal seno della società le forze che dovranno distruggerlo: i suoi becchini”.

12 “Fronte unito proletario e organizzazioni tradizionali oggi” il programma comunista, n° 1. 1975.
13 Circolare del BCF del Partito Comunista Internazionale del 25.11.1981: “La questione di fondo è la visione materialista delle cose, è di ammettere che esistano a fianco del partito, fuori del partito, delle avanguardie, degli elementi avanzati, cioè degli individui e dei gruppi più o meno strutturati, più
o meno formalizzati, che sono spinti a battersi contro l’ordine esistente, ed a organizzare o a cercare  di organizzare attorno a loro delle porzioni della classe operaia”. Dal che si evince che queste
avanguardie, coincidendo con degli “individui o gruppi più o meno strutturati e formalizzati” in cerca di un seguito tra gli operai, non erano affatto da identificarsi con dei settori operai combattivi e all’avanguardia di lotte reali, ma con delle formazioni politiche più o meno strutturate, formazioni che di operaio avevano molto poco (altrimenti non avrebbero aspirato a fare dei proseliti, che evidentemente non avevano, in seno alla classe operaia), ma che di politico avevano
invece molto, visto che si afferma che erano “spinte a battersi contro l’ordine esistente”, come è costume di tutto il piccolo-borghesume infuriato. Ora, il testo prosegue domandandosi: “Si tratta di avanguardie?” e
risponde: “Sì perché combattono e cercano di organizzare il combattimento contro il nemico quando il grosso della truppa non lo fa ancora”. Col risultato di far credere che la massa operaia ancora inerte fosse il
grosso di una truppa in attesa solo dell’ordine di attacco per passare all’azione, mentre in realtà era semplicemente una massa operaia che non poteva assolutamente definirsi truppa” in quanto non era stata né mobilitata né, tantomeno, armata per un’imminente battaglia.

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