Punto n°19: il ruolo storico della Terza Internazionale
IL PARTITO ESISTE IN QUANTO CRITICA CONTINUAMENTE SE STESSO SUPERANDO I LIMITI DELLE PRECEDENTI ESPERIENZE TATTICHE, TRA CUI ANNOVERIAMO ANCHE LE DIRETTIVE SPURIE DELLA III INTERNAZIONALE. L’esperienza storica della degenerazione III Internazionale insegna che essa ha preso piede a seguito ed in forza non solo della sconfitta dei conati rivoluzionari germanici ed ungheresi, ma anche della introduzione, in occasione del suo III Congresso, della tattica errata del Fronte unico, ossia della “alleanza dei comunisti coi socialisti in lotte proletarie” (1), tattica che la Sinistra avversò in modo nettissimo, denominandola per una miglior comprensione “Fronte unico dall’alto” o “Fronte unico politico”, e contrapponendovi quella del Fronte unico dal basso o Fronte unico sindacale (2). “Il Partito Comunista d’Italia, tanto nella propaganda interna che in vive discussioni nei congressi internazionali, aveva già sostenuto che non si dovesse adottare la strategia di una lega tra diversi partiti politici ed aveva accettato soltanto la formula, oggetto di gravi polemiche, del fronte unico sindacale, respingendo dunque ogni fronte o blocco politico, con l’argomento che questo avrebbe dovuto di necessità comportare un supremo organo gerarchico, a cui i partiti aderenti si sarebbero impegnati ad ubbidire, col rischio inaccettabile che le forze del nostro partito avrebbero potuto restare forzate ad agire secondo un indirizzo anche in contrasto profondo coi fini programmatici contenuti nella dottrina del partito e nella sua visione storica” (3). Quando la ripresa della lotta di classe verrà il nostro Partito di oggi potrà efficacemente influenzare il proletariato solo a condizione di far propria questa fondamentale distinzione e di escludere dal proprio arsenale di risorse tattiche il fronte unico dall’alto e di astenersi fin da adesso “dal lanciare ed accettare inviti, lettere aperte e parole di agitazione per comitati, fronti ed intese miste con qualsivoglia altro movimento e organizzazione politica” (4). Nel paragrafo dedicato alla II Internazionale abbiamo rilevato che la pretesa, che fu propria della III Internazionale a partire dal III Congresso, di imporre alla classe operaia occidentale, a una classe che era ormai da cinquant’anni fuori da qualsiasi ottica di “doppia rivoluzione”, la tattica dei fronti unici equivaleva a imporle di addivenire a delle vere e proprie alleanze con altre classi. I partiti “proletari” con cui i comunisti avrebbero dovuto allearsi, infatti, erano dei partiti operai solo di nome in quanto, come si è visto, la socialdemocrazia si era ridotta ad essere solo un contenitore di gruppi di interessi borghesi piccolo-borghesi (i contadini!) e di strati operai aristocratici (quindi degenerati e imborghesiti), a cui il proletariato era in ogni caso subordinato. Perciò va ribadito che l’attuale incomprensione della gravità della peste opportunista da cui era fin dall’inizio affetta la socialdemocrazia è tutt’uno con l’incapacità di superare realmente i limiti della III Internazionale e quindi di continuare a lavorare sul filo del tempo. Perciò non possiamo che escludere ogni riferimento ad un “fronte unico proletario” non ulteriormente e meglio specificato ed ogni partecipazione a comitati che raggruppino solo o in prevalenza elementi politicizzati devono essere esplicitamente proscritti in quanto esso non solo rappresenta una violazione delle norme tattiche a tutti note, ma nasconde la peggiore incomprensione dei postulati teorici della Sinistra.
1 “Riassunto delle tesi esposte nella riunione di Firenze, 8-9 settembre 1951”, Parte III, punto 13 (“Per l’organica sistemazione dei principi comunisti”, pag. 15).
2 “I partiti comunisti hanno la possibilità d’invitare questi strati di lavoratori [che non hanno una coscienza politica sviluppata ma hanno interessi contro cui l’offensiva capitalista urta direttamente] ad azioni unitarie per quelle rivendicazioni concrete ed immediate che consistano nella difesa degli interessi minacciati dalla offensiva del capitale” e lo faranno non solo avanzando rivendicazioni e proponendo mezzi di lotta che non siano contrastanti col proprio programma politico, ma anche rifiutando “di far parte di organismi comuni a vari organismi politici, che agiscano con continuità e responsabilità collettiva, alla direzione del movimento generale del proletariato”, evitando “di apparire compartecipe a dichiarazioni comuni con partiti politici” e realizzando “il centro dirigente della coalizione in una alleanza di organismi proletari a carattere sindacale od affini” (“Progetto di tesi presentato dal P.C. d’Italia al IV Congresso mondiale – Mosca novembre 1922”, In difesa della continuità del programma comunista, pag. 68-70).
3 Una intervista ad Amadeo Bordiga, 1970. 4 Tesi caratteristiche del Partito, 1951.