Premessa: Giugno 2019, negli Usa si è ancora una volta spenta una vita durante un controllo di polizia (un giovane su cui pesavano vari mandati di cattura). Le parole usate e abusate, in questi casi sono sempre le stesse. Un tragico incidente, circostanze da chiarire, gli amici e la famiglia costernati, gli scontri fra gli afroamericani e la polizia ( di cui una discreta componente è afroamericana). Le proteste sono iniziate pacificamente, poi sono diventate guerriglia urbana: il bilancio attuale è di 24 agenti feriti lievemente, tre persone arrestate e alcuni giornalisti colpiti di striscio.
La nota redazionale e il testo che ripubblichiamo nascono da due cause diverse, e allo stesso tempo collegate. La nota cerca di rimettere con i piedi per terra la questione del razzismo. Il testo è invece una risposta alla domanda relativa al perché delle periodiche vicende di scontri tra afroamericani e polizia in America. Due temi decisamente attuali.
La morte di un giovane ventenne di colore, a Memphis, in occasione di un controllo di polizia, e le successive proteste, ci offrono l’occasione per riprendere un argomento già affrontato nell’articolo e nella nota redazionale sottostanti. A dispetto delle apparenze l’argomento non è il razzismo, ma cosa si cela dietro il dualismo razzismo/antirazzismo, nel contesto della moderna società capitalistica. In altre parole quali precise dinamiche di sistema vengono soddisfatte dal fenomeno razzista, dall’antirazzismo di maniera e soprattutto cosa nascondono gli scontri sociali che periodicamente scuotono le città americane ( e non solo americane), in occasione della morte di qualche uomo di colore durante i controlli o i pattugliamenti della polizia. In questi casi un certo cretinismo di sinistra spinge a stucchevoli interpretazioni dei fatti.
Buoni, cattivi, razzisti, antirazzisti. Con queste categorie si rafforza solo il velo di Maya dell’illusione funzionale alla conservazione dello status quo. Le cose vanno inquadrate diversamente. Innanzitutto c’è la miseria crescente, che è legge storica del capitalismo. Una delle principali conseguenze di tale legge è la presenza numericamente crescente di un sottoproletariato che sopravvive ai margini della società, attraverso mille attività illegali (spaccio, prostituzione, bande, furti e rapine). Il capitalismo produce le condizioni ( miseria crescente), che possono spingere verso il crimine grosse quote di sottoproletari. Dunque l’azione moderata o eccessiva della polizia in ogni caso si snoda dentro un contesto sociale di miseria crescente e quindi di crimine crescente. La funzione dello stato è innanzitutto quella di garantire la continuità del dominio della propria borghesia. Per svolgere questa funzione lo stato opera sul piano della forza e sul piano dell’integrazione/metamorfosi. Sul piano della forza agisce come attività di controllo dei fenomeni criminali diffusi, in altri termini quelli aventi un impatto immediato sulla sicurezza dei cittadini con un occupazione e un reddito, a cui il sistema deve almeno garantire un minimo di sicurezza, affinché essi possano continuare a lavorare e consumare. Inoltre lo stato controlla e reprime le proteste sociali dalle caratteristiche troppo minacciose per la continuità del meccanismo capitalistico. E infine protegge e promuove gli interessi della propria borghesia nazionale, sullo scacchiere internazionale. Come si può ben arguire, lo stato borghese opera su un piano territoriale nazionale ed anche extraterritoriale.
Gli scontri di Memphis, oggi, e quelli di Dallas, ieri, in fondo nascondono ( nascondevano) sotto il velo delle proteste antirazziste e antipoliziesche, il permanente conflitto della classe proletaria contro il capitalismo. Queste proteste sono dunque episodi della lotta fra le classi sociali, una lotta in cui tuttavia la protesta proletaria è ancora incapace di insidiare seriamente un sistema che, nella sua brama di profitto, minaccia la stessa continuazione della vita sul pianeta.
Nota redazionale: Inseguire l’attualità sembra spesso un inutile assillo, soprattutto quando le vicende che si srotolano sul rullino della cosiddetta attualità sono solo un monotono spettacolo già visto, un noioso ritorno dell’uguale.Osserviamo, a verifica di questo concetto, le dispute fra opposte fazioni mediatico-politiche sul fenomeno del razzismo.La fazione negatrice sostiene che il razzismo, almeno nel proprio paese, non esiste, è una pura invenzione.La fazione affermativa sostiene il contrario, quindi considera il razzismo una presenza viva e vegeta. Entrambe, le posizioni, a nostro parere, sono incomplete, e dunque sbagliate. La prima posizione è incompleta quando nega l’esistenza del razzismo, perché in effetti anche se il razzismo non esiste in se stesso, almeno come realtà autosufficiente, tuttavia trae vita, e in un certo qual modo esiste, per mezzo della presenza di altre precise condizioni socio-economiche. Anche la fazione affermativa ha ragione e torto insieme, ovviamente per motivi specularmente opposti a quelli dei negatori. Il razzismo esiste, perché esiste un sistema di dominio che ha la necessità di dividere la classe dominata, in base a nazionalità, etnie, religione, e altre bandiere, per conservare se stesso. Il razzismo, le lotte fra poveri, l’ignoranza circa la propria reale condizione (di schiavi del potere) sono funzionali alla dominazione borghese, servono a perpetuare la subordinazione del proletariato verso i propri sfruttatori. L’incapacità di cogliere le reali interconnessioni fra cause socio-economiche e fenomeni derivati, produce anche buona parte degli attuali discorsi sul razzismo, o sulle questioni nazionali o religiose. Anche nel campo diciamo ‘marxista’ sono frequenti i casi di puntura di mosca tze tze revisionista, gli effetti della puntura sono molteplici, ricordiamone alcuni: credenza nell’attualità delle questioni nazionali, credenza nei diritti umani minacciati dal razzismo, credenza nel sindacato di classe, credenza nell’uguaglianza dei diritti del cittadino nel sistema politico-statale democratico-parlamentare, credenza nella minaccia neofascista incombente, credenza nel capitalismo di stato camuffato da socialismo, credenza nei movimenti del ceto medio in via di proletarizzazione (come esempi di movimento reale che abolisce l’esistente), credenza nel poli-amore come anticipazione del comunismo, credenza nella indipendenza della struttura economica dalla sovrastruttura politico-statale,e via revisionando. Spendere energie di tempo e di pensiero per confutare queste credenze, almeno valutando il limitato numero di ravvedimenti, è opera spesso inutile. Saranno i cambiamenti sociali reali determinati dalla ripresa della lotta di classe, sotto la spinta delle leggi socio economiche capitalistiche, a spazzare dalla scena storica il mucchio di credenze appena ricordato.Nel luglio 2016 abbiamo contestato l’idea che determinate proteste sociali nascessero (al di là delle rappresentazioni mentali dei protagonisti), essenzialmente dalla resistenza alle discriminazioni razziali (le quali, tuttalpiù,ad un analisi minimamente obiettiva, potevano considerarsi solo la classica goccia che fa traboccare il vaso dello scontento sociale proletario). Ottobre 2018, vari soggetti politici e sindacali sono attivi nella fiera lotta al fenomeno ‘razzismo’, scambiando per cosa a se stante un semplice effetto della putrefazione del cadavere che ancora cammina, il capitalismo.
Dallas e dintorni
Se dovessimo credere a tutto quello che ci viene propinato dai mezzi di comunicazione, potremmo fare a meno di definire noi stessi marxisti. Prendiamo ad esempio i recenti fatti di Dallas, e analizziamo la produzione di articoli e interviste che a questi fatti fanno riferimento. Ebbene, non c’è dubbio che nella presentazione dei fatti prevalga la chiave di lettura superficiale degli scontri razziali e della lotta per i diritti civili. Probabilmente l’idea/convinzione di battersi contro la discriminazione razziale è anche la convinzione/motivazione dominante nei soggetti che stanno operando sul terreno, da una certa parte della barricata. I mass media e gli amministratori politici del regime capitalista veicolano spudoratamente questa rappresentazione derivata della realtà: derivata, ovvero conseguente alla negazione basica della verità analizzata da Marx già nel capitolo del Capitale dal titolo ‘il carattere di feticcio della merce e il suo arcano’. La società capitalistica ha i suoi pilastri nello sfruttamento/oppressione della forza lavoro occupata e di converso nella oppressione /repressione di quella parte enorme e crescente di forza lavoro disoccupata, un esercito industriale di riserva che sopravvive a stento, in condizioni precarie, sub umane. Periodicamente le disumane condizioni di esistenza della sezione occupata e della sezione disoccupata di proletariato producono turbolenze e disordini, sistematicamente repressi dall’attrezzatura di oppressione statale della classe di sfruttatori borghesi. Sono queste le ragioni sociali di base che stanno dietro le rivolte urbane ricorrenti, a Dallas e altrove, in cui decine o centinaia di migliaia di soggetti si scontrano con l’attrezzatura statale di difesa e di attacco della classe dominante. Non si tratta dunque di lotte a sfondo razziale, l’elemento razziale è presente come effetto derivato della mistificazione generale dei rapporti socio-economici tipica del capitalismo. In realtà le proteste e gli scontri di Dallas, al di là delle rappresentazioni illusorie che ne fanno nella propria testa i vari attori sociali, sono la risultante determinata di ben precise leggi socio-economiche del capitalismo.
l’inquadratura e lo schema teorico con cui leggiamo il fenomeno Dallas susciteranno regolari accuse di sindrome dottrinale e quindi di dogmatismo. Ci aspettiamo inoltre l’osservazione associata di ignorare le caratteristiche specifiche dei fatti di Dallas, vittime del nostro dogmatismo talmudico.
Bene, prendiamo in esame la prima critica, cioè quella di essere dei dottrinari. Riflettiamo su questo: non è forse la vita stessa ad avere bisogno di memoria e conoscenza ricavate dall’esperienza, dalle vicende vissute, dalle vittorie e dalle sconfitte? La specie umana , avrebbe raggiunto il livello di evoluzione attuale, senza lo strumento della conoscenza, basato sulla capacità di induzione e deduzione, cioè di passaggio induttivo dai dati particolari agli schemi astratti generali, e poi di deduzione dei fenomeni particolari dalle leggi generali ? Dunque se questo è vero, tanto che in biologia si teorizza una memoria genetica delle varie specie viventi, allora perché criticare la chiave marxista/dottrinaria di lettura dei fatti di Dallas? Quale schema di decodifica dovremmo usare in alternativa, forse quello che ci propina il regime mass mediatico dominante? Seconda obiezione: nel vostro schema dottrinale rigido si perde il dettaglio irripetibile, non siete elastici e quindi vi tocca rinunciare a comprendere la specificità di un determinato fenomeno. Nel nostro schema teorico marxista vi sono due fattori interconnessi: definiti in ordine di importanza come struttura e sovrastruttura di una certa organizzazione sociale. Riteniamo realistico pensare che i fatti di Dallas si sviluppino dentro un quadro strutturale e sovra strutturale definibile come capitalismo. Dunque non si comprende perché non si debba innanzitutto considerare l’azione delle leggi capitalistiche generali nella genealogia di fenomeni come quello di Dallas. Gli aspetti precipui, locali, sono il prodotto di aspetti interessanti, ma secondari che tuttavia non modificano il quadro dei condizionamenti generali dato dalle leggi capitalistiche. Considerando i dettagli non troveremo le cause determinanti dei fenomeni, a meno di non volere abolire ogni gerarchia di rapporto causa/effetto nel divenire storico (economico sociale).
Ragionando su movimenti come Nuit Debout oppure come Occupy Wall Street,in precedenti articoli abbiamo osservato, o meglio constatato, una componente sociale predominante di tipo piccolo borghese, evidentemente decisiva nel determinare gli obiettivi ‘politici’ di tali movimenti. Non ci sembra che nella situazione di conflittualità di Dallas, o meglio partita da Dallas, si possa rilevare una componente sociale determinante, di classe media. Dalle immagini e dai resoconti emerge un quadro prevalentemente proletario, soprattutto di proletari disoccupati, poveri, privi di sicurezze patrimoniali e prospettive di reddito sicuro. Le leggi economiche capitalistiche accrescono l’esercito industriale di riserva in un percorso storico ininterrotto, e quindi impoveriscono di fatto, in modo relativo e assoluto, fasce crescenti di popolazione. Un episodio qualsiasi può fare da detonatore a questa bomba sociale a orologeria, e quindi gli episodi di razzismo, le violenze e i morti sono in definitiva il pretesto per fare esplodere lo scontento di massa verso una certa organizzazione della società. Le dirigenze politiche borghesi si affannano a buttare acqua sul fuoco con dichiarazioni distensive, da un lato, mentre le forze dell’ordine, dall’altro lato, continuano a fare muro contro le proteste. Pugno di ferro, nascosto, ma non troppo, da un guanto di velluto. Il potere di classe, anche nelle situazioni di conflitto più esplicite, non ama svelare la sua natura violenta, di pura prevaricazione e sopraffazione. Il cretinismo democratico di alcuni utopisti e opportunisti invece, fissando la vista solo sull’abito esteriore del regime, non è consapevole di ingurgitare tutta la sbobba ideologica che ogni regime classista diffonde sempre per rendere più efficace la propria dominazione. In tal modo il cretinismo democratico regredisce a livelli di pensiero politico non solo pre-marxisti, ma addirittura pre-machiavellici, per non citare autori ancora più antichi.
Al di là del cretinismo democratico, fermo alle apparenze legalitarie del regime borghese, resta comunque da valutare il contenuto politico, e non solo la composizione sociale, degli attuali movimenti di protesta sorti dell’episodio di Dallas. La morte dei cinque poliziotti e la successiva morte dell’attentatore/killer, presentano delle analogie con le stragi verificatesi in America negli ultimi decenni, per i più svariati motivi. Quindi le motivazioni del killer dei poliziotti, e la dinamica dei fatti sono alquanto oscure e complesse. Tuttavia il dato di fatto innegabile è che questo episodio ha fatto da detonatore a un ciclo di proteste di ampie dimensioni. Come dicevamo prima la composizione sociale delle proteste è in prevalenza proletaria e di origine afroamericana. Gli obiettivi politici sono lontani da un programma di tipo marxista, le parole d’ordine sono infatti concentrate sui diritti civili, la lotta alle discriminazioni razziali, e altre mitologie ininfluenti a cambiare i termini reali del problema, dato dall’esistenza/sopravvivenza del capitalismo. Questa arretratezza degli obiettivi politici è il segnale della persistente vitalità, e quindi capacità di condizionamento della classe borghese. Ipotesi finale : il movimento di lotte partito da Dallas difficilmente evolverà in senso anti-capitalista, non essendo presenti, sincronicamente, le tre condizioni individuate dalla corrente (forte presenza proletaria, erosione drastica delle garanzie patrimoniali di una parte notevole della classe, e presenza di un partito marxista in grado di dirigere i movimenti di lotta). Come in passato, in occasione di altre proteste sorte da eventi analoghi, il movimento tenderà a rifluire e infine a scomparire (almeno per un certo periodo). Qualcosa, tuttavia, si sedimenterà nella memoria dei soggetti sociali proletari, e nel tempo contribuirà ad orientare il conflitto sociale su terreni politicamente più avanzati.