Marxisti e religione

Nota redazionale: Quale senso può avere, nell’attuale contesto socio-politico, un articolo sul ‘problema’ religioso ? Un senso possiamo trovarlo, se ricordiamo il ruolo svolto (oggi) dai fondamentalismi a sfondo religioso, nelle lotte di potere interne alla borghesia internazionale (pensiamo ad esempio alla Siria o alla Libia e all’Iraq). L’articolo del 1964 in verità  affronta soprattutto i rapporti fra l’opportunismo del partito ‘togliattiano’ e la religione, tuttavia le sue righe possono anche oggi aiutare a comprendere certi aspetti non nuovi dell’uso politico della religione. Insieme all’articolo del luglio 1964, pubblichiamo le ‘Tesi su Feuerbach’, da cui il testo del 1964 trae spunto e ispirazione. Inoltre aggiungiamo un passaggio (sempre di Marx) tratto dall’introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel. Inoltre presentiamo alcune riflessioni di autori del passato (Polibio, Machiavelli). Questi due argomentano sul ruolo sociale e politico della religione, in quanto instrumentum regni, cioè in quanto mezzo di controllo sociale al servizio del potere politico. Nelle (nostre) relazioni sulla teoria della conoscenza del 1960, si sostiene appunto che lo stato proletario impedirà che si perpetui il ruolo storico di ‘instrumentum regni’ e ‘oppio dei popoli’ delle religioni (principalmente monoteiste). Dunque sarà ostacolato il ruolo di supporto, di una certa organizzazione religiosa, agli interessi di una certa classe sociale (la borghesia) scalzata dalle leve del potere politico (ma ancora dotata di una certa influenza socio-culturale). E’ inevitabile rilevare che in Polibio e Machiavelli la religione funge (soprattutto) da calmieratore delle pulsioni caotiche e anarcoidi delle masse.

 Polibio: ‘poiché la moltitudine è per sua natura volubile e soggiace a passioni di ogni genere, a sfrenata avidità, ad ira violenta, non c’è che trattenerla con siffatti apparati e con misteriosi timori”

Machiavelli:‘Debbono adunque i príncipi d’una republica o d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono, mantenergli; e fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro repubblica religiosa, e per conseguente buona e unita”.

‘Instrumentum regni’, dunque, nel vero senso della parola. Quindi un freno ideologico alle pulsioni ”di ogni genere, (come) sfrenata avidità,  (o) ira violenta”, ”mirante a mantenere la (…) repubblica religiosa (e di conseguenza) buona e unita”. Il concetto di ‘Instrumentum regni’ è fondamentale anche per capire come, in determinate circostanze storiche, le classi dominanti possano utilizzare la religione (o il sentimento nazionale) come motivazione ideologica  per scagliare le masse di dominati contro i propri nemici (frazioni di borghesia nazionale o internazionale). I processi in atto nell’area mediorientale rappresentano una verifica di questa analisi, e dello sforzo di comprendere meglio il piano motivazionale che può sospingere  parte dei soggetti che combattono le cosiddette ‘guerre per procura’ inter-imperialistiche. Emerge dunque, almeno dalla verifica dell’esperienza storica, una doppia possibilità di utilizzo (da parte del potere) del mezzo religioso, non a caso definito da Machiavelli ‘Instrumentum regni’: In primo luogo esso funge da strumento di freno e controllo del conflitto sociale; in secondo luogo esso può rivelarsi utile come spinta motivazionale di massa (integralista-fondamentalista) nelle lotte per il potere politico-economico fra le classi dominanti. Si tratta di due costanti di utilizzo alterno o complementare, ampiamente verificabili dall’analisi del corso storico ultra-millenario delle società divise in classi di dominanti e dominati.  

La religione, intesa come oppio dei popoli e lamento della creatura oppressa, sarà progressivamente e spontaneamente abbandonata in modo naturale, a causa della scomparsa del suo stesso motivo d’essere (cioè la divisione della società in classi di dominanti e dominati), ”non «valori», non «eternità», non esigenze «concrete», non «punti di vista religiosi», non intellettuali, non Dio, non libertà, non dottrina, non cristianesimo; ma solo una umanità finalmente conscia di se stessa, specie di uomini finalmente umana!”

Marx: Tesi su Feuerbach

I Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l’oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E’ accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall’idealismo in contrasto col materialismo , ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l’idealismo ignora l’attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell’Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l’importanza dell’attività “rivoluzionaria”, dell’attività pratico-critica.

II La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.

III La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen). La coincidenza nel variare dell’ambiente e dell’attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.

IV Feuerbach prende le mosse dal fatto che la religione rende l’uomo estraneo a se stesso e sdoppia il mondo in un mondo religioso immaginario, e in un mondo reale. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che, compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. Il fatto stesso che la base mondana si distacca da se stessa e si stabilisce nelle nuvole come regno indipendente non si può spiegare se non colla dissociazione interna e colla contraddizione di questa base mondana con se stessa. Questa deve pertanto essere compresa prima di tutto nella sua contraddizione e poi, attraverso la rimozione della contraddizione, rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica.

V Feurbach, non contento del pensiero astratto, fa appello all’intuizione sensibile; ma egli non concepisce il sensibile come attività pratica, come attività sensibile umana.

VI Feuerbach risolve l’essere religioso nell’essere umano. Ma l’essere umano non è un’astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l’insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non s’addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto: a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato; per lui perciò l’essere umano può essere concepito solo come “specie”, come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui.

VII Perciò Feuerbach non vede che il “sentimento religioso” è anch’esso un prodotto sociale e che l’individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.

VIII La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica.

IX L’altezza massima a cui può arrivare il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce il mondo sensibile come attività pratica, è l’intuizione dei singoli individui nella “società borghese”.

X Il punto di vista del vecchio materialismo è la società “borghese”; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l’umanità socializzata.

XI I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.

Passi tratti dall’introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel.

Per la Germania, la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica.

L’esistenza profana dell’errore è compromessa dacché è stata confutata la sua celeste oratio pro aris et focis. L’uomo il quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha trovato che l’immagine riflessa di se stesso, non sarà più disposto a trovare soltanto l’immagine apparente di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cercare la sua vera realtà.

Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, unacoscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d’honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale.

La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo.

Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola.

La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l’uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso.

È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell’autoestraneazione umana, quello di smascherare l’autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.

Polibio

I Romani hanno inoltre concezioni di gran lunga preferibili nel campo religioso. Quella superstizione religiosa che presso gli altri uomini è oggetto di biasimo, serve in Roma a mantenere unito lo Stato: la religione è più profondamente radicata e le cerimonie pubbliche e private sono celebrate con maggior pompa che presso ogni altro popolo. Ciò potrebbe suscitare la meraviglia di molti; a me sembra che i Romani abbiano istituito questi usi pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe infatti inutile ricorrere a mezzi come questi, ma poiché la moltitudine è per sua natura volubile e soggiace a passioni di ogni genere, a sfrenata avidità, ad ira violenta, non c’è che trattenerla con siffatti apparati e con misteriosi timori. Sono per questo del parere che gli antichi non abbiano introdotto senza ragione presso le moltitudini la fede religiosa e le superstizioni sull’Ade, ma che piuttosto siano stolti coloro che cercano di eliminarle ai nostri giorni. Inoltre, a prescindere da tutto il resto, coloro che amministrano in Grecia i pubblici interessi, se viene loro affidato un talento, nonostante il controllo di dieci sorveglianti, di altrettanti suggelli e del doppio dei testimoni, non sanno conservarsi onesti; i Romani invece, pur maneggiando nelle pubbliche cariche e nelle ambascerie quantità di denaro di molti maggiori, si conservano onesti solo per rispetto al vincolo del giuramento; mentre presso gli altri popoli raramente si trova chi non tocchi il pubblico denaro, presso i Romani è raro trovare che qualcuno si macchi di tale colpa.

 

(Polibio, Storie, Mondadori, Milano, 1970, vol. II, pag. 133-134)

 

 

Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, I, cap. XII

 

Quelli príncipi o quelle repubbliche le quali si vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa a mantenere incorrotte le cerimonie della loro religione, e tenerle sempre nella loro venerazione; perché nessuno maggiore indizio si puote avere della rovina d’una provincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo è facile a intendere, conosciuto che si è in su che sia fondata la religione dove l’uomo è nato; perché ogni religione ha il fondamento della vita sua in su qualche principale ordine suo. La vita della religione gentile era fondata sopra i responsi degli oracoli e sopra la sètta degli indovini e degli aruspici: tutte le altre loro cerimonie, sacrifici e riti, dependevano da queste; perché loro facilmente credevono che quello Iddio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potessi ancora concedere. Di qui nascevano i templi, di qui i sacrifici, di qui le supplicazioni ed ogni altra cerimonia in venerarli: per che l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone ed altri celebri oracoli i quali riempivano il mondo di ammirazione e divozione. Come costoro cominciarono dipoi a parlare a modo de’ potenti, e che questa falsità si fu scoperta ne’ popoli, diventarono gli uomini increduli ed atti a perturbare ogni ordine buono. Debbono adunque i príncipi d’una republica o d’uno regno, i fondamenti della religione che loro tengono, mantenergli; e fatto questo, sarà loro facil cosa mantenere la loro repubblica religiosa, e per conseguente buona e unita. E debbono tutte le cose che nascono in favore di quella, come che le giudicassono false, favorirle e accrescerle; e tanto piú lo debbono fare quanto piú prudenti sono, e quanto piú conoscitori delle cose naturali. E perché questo modo è stato osservato dagli uomini savi, ne è nato l’opinione dei miracoli che si celebrano nelle religioni eziandio false; perché i prudenti gli augumentano, da qualunque principio e’ si nascano, e l’autorità loro dà poi a quelli fede appresso a qualunque.

 

 

Marxisti e religione

«L’Unità» del 9-6 reca con questo titolo un articolo che è una recensione del libro «Les marxistes et la réligion», tradotto per gli Ed. Riun. col titolo: «L’ateismo moderno» del «compagno» francese Michel Verret. Nella scala della degenerazione opportunistica internazionale, senza dubbio i gloriosi esponenti del P.C.I. occupano l’ultimo posto, quello più feccioso e vomitorio. Nella nostra ultima riunione interfederale, parlando dell’arte e della letteratura, abbiamo visto come la posizione del P.C.I. fosse di gran lunga al di sotto di quella falsamente marxista del partitone russo, e in fondo si riducesse alla pura e semplice rivendicazione borghese, che ogni genietto figlio di papà e ogni bohémien sottoscriverebbero a occhi chiusi: la rivendicazione della «libertà» dell’artista, libertà di materia e libertà di espressione. Abbiamo anche visto come questa posizione servisse al P.C.I. per accattivarsi le simpatie degli strati ibridi e lubrichi, costituiti da tutti gli scrittorelli, pittorelli e artistucoli della gloriosa Italietta. Pur di captare voti da costoro, il P.C.I. non esita a solleticare e a difendere la loro «libertà» di espressione, adattandosi ad inquadrare in «una critica rivoluzionaria» della società odierna le più insulse balordaggini e mostruosità scritte, rappresentate o espresse dagli esponenti nostrani della putrefazione di una società il cui compito «intellettuale» si è esclusivamente limitato all’esportazione delle più astruse cretinerie, smerciate come autentici capolavori d’arte e come tali bevuti dal fecciume dei piccolo-borghesi, sempre avidi di «novità» artistiche che ne appaghino il bisogno di evasione da una società che li stritola.

Ebbene, come nel campo dell’arte i piccisti sono all’avanguardia (o alla retroguardia) nel sostenere le rivendicazioni «illuminate» dei piccolo-borghesi, così nel campo della religione sono divenuti i più accesi sostenitori dei «valori eterni» in essa espressi e contenuti. E come quelle posizioni da bohémien fuori tempo servivano solo ad accaparrare voti dagli strati degli «artisti», così ora queste posizioni di «apertura» verso la religione vanno inquadrate nel proposito ben fermo di continuare a sviluppare il famoso «colloquio» con i cattolici, colloquio che ancora non ha avuto l’unico risultato agognato: una poltroncina, almeno, al tavolo di governo. E a questi cattolici viene riconosciuta la loro buona volontà, il loro zelo per la pace, la solidarietà e la fraternità tra gli uomini. Ma c’è di più: si riconosce anche, nella religione cattolica, come nel cristianesimo, la presenza di certi «valori» comuni! Bestemmie più atroci di queste, non ne sentimmo nella nostra breve vita di militanti rivoluzionari, e forse non ne sentirono neppure quelli più anziani tra noi che dovettero arginare altre e pestilenziali ondate di opportunismo forcaiolo. Il «marxismo» che riconosce valori eterni! È cosa da far strabiliare chiunque abbia appena appena masticato un po’ di marxismo. E questi dottoroni, questi uomini di cultura, questi intellettuali «marxisti» (puah!) presentano le loro affermazioni come l’ultimo, nuovo, concreto sviluppo del nucleo vitale del… marxismo!

Ma state a sentire. Dopo aver citato per intero la famosa «quarta tesi» di Marx su Feuerbach, che riguarda il limite della dissoluzione operata da Feuerbach del divino nell’umano, il «compagno» Verret passa a svilupparla, dedicando particolarmente la sua analisi all’alienazione dell’umanità. Verret sottolinea poi che la forma religiosa della coscienza sociale è stata carica di differenti e opposti contenuti di classe, prestandosi anche a rivendicazioni rivoluzionarie, e questo per «l’universalità della credenza religiosa in una data società». Il proletariato, continua Verret, è però «classe atea», perché non ha bisogno di nessuna mistificazione religiosa per condurre la sua battaglia rivoluzionaria; deve fare appello solo agli uomini. Si passa infine alla «morale» proletaria. Ma non crediate che questa morale sia di lotta, la «morale» di un esercito in combattimento, quale è quello della classe proletaria finché deve vivere e combattere nella società borghese, una «morale» quale quella che Lenin additava alla Russia comunista del ’18: l’amore per i compagnil’odio per tutti gli altri. No, perdio, papa Giovanni non è passato invano! La nuova «morale» del proletariato, come lo vorrebbero questi signori, è annacquata, è evangelizzata, è pastorizzata.
«
Il proletariato… non può essere veramente buono per sé stesso se non lo è anche per gli altri».
Giusto, ma se inteso in senso dialettico; e di una dialettica marxista, non dolciastro-idealistica.

L’azione politica del proletariato non solo è un’azione di classe tendente all’emancipazione e allo svincolamento di una classe dalla sua soggezione e schiavitù ad un’altra ma è anche, contemporaneamente e in una prospettiva più ampia, lotta per l’emancipazione di tutta la società, lotta per la liberazione di tutti gli uomini. Ogni conquista, ogni vittoria del proletariato è quindi anche, dialetticamente, una conquista e una vittoria di tutti, anche degli altri. Ma, così come l’intendono i rinnegati assertori dei comunismi (?!) nazionali, la frase acquista tutt’altro significato: proletario, non puoi badare a te se non badi anche agli altri; non puoi avanzare le tue rivendicazioni se non tieni presenti anche i giusti diritti degli imprenditori, non puoi intraprendere le tue azioni di lotta se non tenendo presente il momento congiunturale difficile dell’economia nazionale!

Veramente, la quintessenza del più schifoso tradimento degli ideali della classe proletaria è racchiuso in quella frase. Ma la classe proletaria se ne fregherà degli altri, dei borghesi, delle mezze calzette, dei piccolo-borghesi, e, quando giungerà l’ora, saprà schiacciare come pulci questi addormentatori dei suoi istinti vitali, questi traditori della sua causa, questi svirilizzatori della sua forza demolitrice! E quel giorno noi l’attendiamo con ansia per fare anche noi la nostra opera di spazzini!

Ma turiamoci il naso e andiamo avanti. Dopo aver riportato le parole di un comunista fucilato che esprimevano
«
la grande idea terrena dell’anonima sopravvivenza dell’individuo oltre la morte»
(altra bella schifezza: noi respingiamo tutte le sopravvivenze dopo la morte, quella dell’anima, quella del pensiero, quella delle azioni, quella dello…anonimato: per noi sopravvive solo la specie, non conta nulla se la morte o la vita di un militante rivoluzionario è conosciuta o ignorata dagli altri; perché l’affermarsi e il continuarsi della lotta rivoluzionaria è indipendente da qualunque «persona»), perveniamo così alla domanda cruciale:
«
Oggi, la coscienza religiosa è capace ancora di riflettere esigenze di riscatto sociale, di progresso?».
Col solo porsi questa domanda, il «compagno» francese e quello italiano mostrano di essere lontani mille miglia dalla tagliente critica marxista della società capitalistica, dalla considerazione del ruolo che in essa gioca la religione. Col solo porsi quella domanda, dimostrano cioè di non essere affatto dei marxisti. Ma continuiamo. Il religioso progressista e l’ateo, per questi «compagni» (ma faremmo meglio a chiamarlo compari), pur con idee differenti operano allo stesso modo: gli atteggiamenti contemplativi cedono il passo agli atteggiamenti militanti, e ciò a servizio di espliciti, nuovi, concreti il più possibile, impegni.
«
La condotta di un cristiano progressista somiglia a quella di un comunista»;
c’è da giurarlo: sul terreno della pace, della nazione, della libertà, della fraternità, saranno sempre d’accordo; saranno sempre d’accordo, perché non stanno né l’uno né l’altro su un terreno marxista.

Ma ecco la domanda veramente cruciale: perché ciò può accadere ed accade? Per uno svuotamento della religione dei credenti progressisti che lottano oggi per l’uomo in nome di Dio, ma lo faranno domani in nome dell’uomo e basta, e quindi perché hanno cessato di credere in Dio, pur senza saperlo? o per la liberazione, sotto l’urgenza dei fatti (sentite!) del nucleo positivo di alcuni valori contenuti nella loro fede religiosa?

Risposta dell’articolista della «Unità»:
«
Il Verret propende nettamente per la prima tesi; chi scrive, per la seconda».
Merda! Nella prima posizione, v’è ancora una lontana «puzza» di marxismo, perché gli uomini prima si trovano catapultati nell’azione rivoluzionaria nascente da cause economiche e materiali, non ideali e astratte come il bene della società e la pace nel mondo, poi acquistano coscienza delle fesserie di Dio e della religione.

Invece, nella posizione dell’esponente del P.C. nostrano, ogni «puzza» di materialismo e di marxismo è scomparsa per sempre: navighiamo nelle fetide acque dell’idealismo borghese. Ancor più fetido è però quel che segue: bisognerebbe, secondo l’articolista, sviluppare alcuni punti del marxismo (ma dì, non ti bastavano ancora quelli che avevi già sviluppati?):
«
Si dovrebbe guardare più in fondo alla previsione finale contenuta nella quarta tesi di Marx su Feuerbach, chiedendosi, ad esempio, se rimuovendo la contraddizione della base mondana con sé stessa, cioè costruendo (!) il socialismo, e con ciò facendo scomparire la causa dello «sdoppiamento del mondo», non rimanga tuttavia la possibilità di punti di vista sensibilmente differenti, e se uno di questi punti di vista potrà chiamarsi ancora, se pure in senso traslato, senso religioso della natura e della vita».
È chiara la caratteristica del rinnegato: essendo passato armi e bagagli alla reazione borghese, di questa egli condivide tutte le illusioni sull’eternità della società borghese pur con alcune piccole modifiche, e quindi sulla eternità dei suoi valori.

Noi sputiamo sull’una e sugli altri, e ad esse non opponiamo che il nostro programma unico ed invariabile, non valore eterno ma vitale affermazione di lotta da quando la società si scisse in due tronconi, l’uno proprietario dei mezzi di produzione e l’altro schiavo, e padrone solo delle proprie braccia, l’uno parassita e sfruttatore, l’altro sfruttato ed oppresso; da quando la società divenne borghese e si divise nelle classi opposte e inconciliabilmente nemiche della borghesia e del proletariato. E il nostro programma non è un valore, non è eternoè un arma di battagliaè uno strumento che ci serve per fiaccare il nemico, e quindi non è suscettibile di nessuna revisione, di nessuno sviluppo, di nessun ripensamento, non può conoscere nessun baratto, nessun commercio, perché non si tratta col nemico, lo si combatte e basta; quel programma ha solo bisogno di rimanere ben affilato e pronto ad essere usato dal pugno di ferro dell’unico Partito Comunista.

E non è eterno, perché non sarà eterna questa società, ma durerà solo finché vi saranno sfruttatori da eliminare, oppressori da combattere, rinnegati da schiacciare; mentre nella società comunista non vi sarà più nulla di ciò che delizia i rinnegati e i borghesi di oggi: non «valori», non «eternità», non esigenze «concrete», non «punti di vista religiosi», non intellettuali, non Dio, non libertà, non dottrina, non cristianesimo; ma solo una umanità finalmente conscia di se stessa, specie di uomini finalmente umana!

«Il Programma Comunista», n.14, luglio 1964

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