Governi tecnici e governi politici: le due facce dell’amministrazione statale capitalistica

Governi tecnici e governi politici: le due facce dell’amministrazione statale capitalistica

Le meste e desolanti vicende politiche italiche successive al voto del 4 marzo confermano, in modo quasi completo, le nostre analisi post-elettorali. In primo luogo l’affermazione di Lega (17%) e Cinque Stelle (32%), l’iniziale accordo fra le due forze (come avevamo ipotizzato), sfociato nell’elezione dei presidenti di camera e senato, e le successive trattative per conseguire un accordo politico in vista della formazione di un nuovo esecutivo. Tuttavia i veti incrociati fra Cinque Stelle e Forza Italia, hanno insabbiato l’accordo politico, spingendo I Cinque Stelle a tentare la carta dell’accordo con il PD. Tuttavia anche questa ipotesi è risultata impraticabile, a causa dell’opposizione dei renziani.

Sono passati oltre due mesi dal 4 marzo e al momento ci sono due ipotesi ancora in campo: In primo luogo il varo di un governo tecnico, destinato a proporre al parlamento delle misure economiche e finanziarie funzionali alla manutenzione dell’economia capitalistica, e se la situazione interna e internazionale lo richiedesse, a proporre un inasprimento delle leggi in materia di ordine pubblico (come risposta ad una crescita del conflitto di classe interno), e l’approvazione parlamentare di eventuali interventi militari al fianco della NATO e degli USA, nei vari teatri di confronto fra conglomerati capitalistici rivali (Siria e Donbass in prima istanza).

In secondo luogo il varo di un governo politico basato sull’accordo fra Cinque Stelle e Lega, con l’obiettivo di portare il paese a nuove elezioni entro il luglio 2018 (anche se un successivo accordo su nuovi obiettivi potrebbe prolungare la vita del governo per un tempo indefinito).

Abbozziamo una ipotesi di lettura che valga anche come risposta alla seguente domanda; perché le forze politiche presenti nel nuovo parlamento non riescono a raggiungere un accordo? Le interpretazioni psicologiche pongono al centro dell’analisi i fattori personali, i caratteri dei vari leader, e il ruolo che giocano nell’attuale balletto politico. Le ambizioni personali di x, y, z, oppure di Tizio e Caio, in questo schema sarebbero determinanti, e quindi solo la rinuncia di Tizio a proporsi come capo dell’esecutivo o di Caio a volere essere presente nel futuro esecutivo, potrebbero sbloccare l’incaglio.

Non neghiamo affatto che i fattori psicologici, espressione di ambizioni personali e volontà di dominio individuali dei leader, non giochino un ruolo nel divenire politico posteriore al 4 marzo, e tuttavia queste ambizioni e volontà personali sarebbero comunque da collegare ai diversi partiti politici di cui i leader sono espressione. Negli ultimi decenni, è vero, abbiamo assistito alla nascita dei partiti cosiddetti personali, incentrati su figure carismatiche, e al declino dei partiti-programma. Il problema è valutare questa trasformazione, cioè cosa significa dal punto di vista socio-politico. Se studiamo bene la storia scopriamo che il fattore personale, e dunque il ruolo dei capi carismatici, è presente anche in altri contesti storici, ma noi comunque non lo riteniamo determinante, cioè decisivo, almeno in ultima istanza. Allora potremmo anche chiederci, senza dilungarci troppo sul contenuto della precedente affermazione (leggasi a tal proposito ‘Superuomo ammosciati’ e il ‘Battilocchio nella storia’), se non siano, invece, le stesse ambizioni e volontà personali, da correlare all’esistenza di interessi vitali – economici – di una certa classe sociale, o addirittura di una sua componente particolare.

La bussola della teoria marxista ci guida verso una lettura ‘strutturale’ dell’attuale balletto politico, aiutandoci a scorgere i fattori economici preponderanti in ultima istanza, nascosti dietro le contese – apparentemente solo ‘personali’ – dei vari leader e partiti.

In effetti, dietro il polverone di parole contenuto nelle interviste e nelle dichiarazioni rilasciate dai vari attori politici, si intravedono almeno due tendenze collegate a differenti interessi socioeconomici capitalistici.

In primo luogo l’interesse del capitale finanziario (nazionale e internazionale), propenso a continuare la somministrazione di politiche economiche e fiscali ‘lacrime e sangue‘, imperniate sul dogma del pareggio di bilancio, sulla riduzione ‘apparente’ del debito pubblico (che peraltro è uno dei modi di essere del capitale finanziario), e dunque sulla compressione del salario diretto (retribuzioni) e indiretto (welfare), e sull’aumento della tosatura fiscale (sfruttamento indiretto). L’incremento del saggio di sfruttamento, necessario a rallentare la caduta storica del saggio di profitto, si manifesta, in questa tipologia di interventi, come espropriazione di ulteriore tempo di lavoro proletario, in modo indiretto: (aumento dell’imposizione fiscale), e in modo diretto: (diffusione di tipologie di lavoro precarie e sottopagate, soprattutto fra i giovani).

Alla fine, gli interessi spettanti al capitale finanziario detentore del debito pubblico, sono garantiti dall’incremento del prelievo fiscale sui proletari (sfruttamento indiretto, cioè al di fuori del luogo di lavoro), mentre la diffusione di tipologie di lavoro precarie e sottopagate, soprattutto fra i giovani (sfruttamento diretto, cioè all’interno del luogo di lavoro), rappresentano un momentaneo vantaggio soprattutto per il capitale industriale (e in via derivata per il capitale finanziario, comunque presente in forma di azioni e obbligazioni nelle S.P.A che operano nel settore industriale).

Un governo tecnico consentirebbe la quasi certa preponderanza del capitale finanziario, soprattutto con l’incremento del prelievo fiscale, e i tagli al welfare, finalizzati a raccogliere il denaro per pagare le quote periodiche (annuali o semestrali) di interessi sul debito pubblico. Ma alla lunga le politiche economiche ‘lacrime e sangue’ non possono reggere, perché l’impoverimento di larghe fasce sociali, togliendo reddito al proletariato (compressione del salario diretto e indiretto, cioè del salario complessivo), toglie anche potenziali clienti alle merci prodotte nel settore industriale dell’economia capitalistica, vanificando gli stessi vantaggi ottenuti con il maggiore grado di plus-lavoro (assoluto e relativo) estorto ai proletari nel processo produttivo industriale.  In effetti il plus-lavoro estorto al proletariato, contenuto in forma di plusvalore nelle merci prodotte dall’industria capitalistica, può trasformarsi in profitto aziendale solo con la vendita successiva delle merci nella sfera della circolazione-distribuzione (D-M-D’). Se questo passaggio relativo alla vendita delle merci non si verifica, a causa della miseria crescente, determinata innanzitutto dalla disoccupazione (dovuta alla progressiva sostituzione del lavoro vivo con il lavoro morto – capitale costante – macchinario) e dal concomitante aumento della sottrazione di quote di reddito e patrimonio con l’imposizione fiscale, allora il meccanismo si inceppa, e in fondo anche il capitale finanziario, in prospettiva, viene danneggiato (infatti l’interesse finanziario si basa in ultima istanza sul plus-lavoro/plusvalore ottenuto nel processo produttivo industriale, e se questo ultimo non si converte in profitto aziendale a causa della impossibilità di essere monetizzato in forma di ricavo di vendita, allora salta l’intero schema di accumulazione del capitale e quindi anche la possibilità pratica di esistenza di un interesse finanziario, in fondo dipendente dallo schema, D-M-D’).

I governi tecnici, in base alle precedenti esperienze storiche, sono in genere collegabili direttamente alla voracità e agli interessi della parte più parassitaria della classe dominante, quella finanziaria. Dunque è prevedibile che un futuro governo ‘tecnico’ miri a garantire, innanzitutto, un quadro dei conti pubblici congeniale al reperimento del plusvalore da destinare al pagamento delle cedole semestrali e annuali del debito pubblico (ripetiamolo: attraverso gli aumenti fiscali e i tagli al welfare). Ferme restando le ricadute macro-economiche negative, dal lato della domanda globale, collegate agli aumenti fiscali e ai tagli al welfare, questa ricetta economica ‘lacrime e sangue’ si collega principalmente ai cicli di recessione/contrazione, quando la domanda non è in grado di assorbire la totalità delle merci prodotte, con conseguente crisi del settore industriale e distributivo. In realtà le imprese industriali sono costrette a produrre quantitativi crescenti di merci, a causa della minore incidenza percentuale di plus-valore/plus-lavoro nella singola unità di prodotto/merce; minore incidenza determinata a sua volta dalla riduzione ‘storica’ del capitale vivo umano all’interno della composizione tecnico-organica del capitale aziendale totale (capitale variabile/forza-lavoro + capitale costante/macchinario). Lo stesso quantitativo di plus-valore contenuto in passato in dieci merci x, è ora, disseminato in 20 merci x, e dunque se l’impresa industriale volesse mantenere inalterato il plus-valore contenuto in passato in dieci merci, dovrebbe oggi produrne venti. Ma le merci presuppongono un compratore, mentre la sostituzione dell’uomo da parte del macchinario (messa in atto dalla direzione/proprietà dell’impresa per ridurre i costi aziendali totali, e sopravvivere alla lotta per la concorrenza), crea sovrappopolazione disoccupata, miseria crescente e conseguente calo della domanda. Crisi da sovrapproduzione, alias vulcano della produzione contro la palude del mercato.

Sono queste le aporie in cui si contorcono le economie capitalistiche, e i conseguenti balletti dei governi tecnici e politici che ne sono l’espressione sovrastrutturale.

Il governo politico fra Cinque Stelle e Lega, che potrebbe ancora nascere dall’attuale marasma post-elettorale, sarebbe invece più vicino alle ricette keynesiane, miranti a creare/distribuire reddito per potenziare i consumi e rilanciare la domanda globale, e quindi sarebbe vicino al capitale industriale (al netto degli intrecci fra capitale industriale e finanziario nelle Spa, dove le obbligazioni rappresentano quote di prestiti, e le azioni quote di proprietà, entrambe negoziabili sui mercati finanziari).

Vediamo come potrebbe articolarsi questa prospettiva, in un quadro economico recessivo, e basandoci sui programmi pre-elettorali di Cinque Stelle e Lega.

Cinque Stelle ha proposto il reddito di cittadinanza, ottenendo molti consensi nel meridione d’Italia, dove si registra un tasso maggiore di povertà e disoccupazione. Il reddito di cittadinanza rafforzerebbe il potere di acquisto di ampie fasce sociali precedentemente escluse dai circuiti del consumo (anche di beni primari). Cinque Stelle e Lega hanno inoltre proposto la radicale modifica della legge Fornero, riportando il limite dell’età pensionabile a 62 anni. Anche in questo caso potremmo registrare degli effetti positivi sulla domanda, infatti i posti di lavoro lasciati liberi dai pensionati, sarebbero almeno in parte occupati dai nuovi assunti (in precedenza disoccupati), i quali percepirebbero una retribuzione destinata a trasformarsi in nuova domanda di merci, mentre i neo-pensionati continuerebbero a sostenere la domanda globale grazie all’assegno pensionistico.

Questa ipotetica operazione di ingegneria economica a sostegno della domanda, ha tuttavia già incontrato una certa opposizione, ad esempio in alcune forze politiche ma anche al vertice di alcuni enti pubblici (INPS).

Le perplessità e i dubbi suscitati dalla proposta sul reddito di cittadinanza e dalla proposta di cancellazione della legge Fornero, in effetti, dal punto di vista del capitale finanziario, potrebbero essere abbastanza fondati.

Il problema principale è il reperimento delle risorse finanziarie per realizzare le due proposte. Secondo Cinque Stelle e Lega tagliando gli sprechi nella pubblica amministrazione, facendo una lotta più incisiva all’evasione fiscale, riducendo le pensioni più elevate, si potrebbero recuperare delle risorse. Una strada ulteriore potrebbe essere l’aumento della ritenuta fiscale sulla rendita finanziaria, cioè sugli interessi lordi dovuti ai possessori del debito pubblico (composto da BOT, CCT, BTP), attualmente al 20%.

Tuttavia tale misura, in assenza di concreti provvedimenti compensativi, potrebbe spingere gli investitori finanziari interni e internazionali verso altre forme di impiego dei propri capitali, determinando scenari pericolosi per la sostenibilità dei conti pubblici (lo stato sarebbe chiamato a restituire una parte del debito pubblico ai suoi possessori, con tutte le ripercussioni prevedibili).

Dunque si comprende bene come la strada keynesiana implicata nelle ipotesi sul reddito di cittadinanza e nella proposta di cancellazione della legge Fornero, alla luce dell’interesse capitalistico predominante (ovvero quello della frazione ultra-parassitaria di borghesia, legata alla rendita finanziaria), incontri degli ostacoli impegnativi, innanzitutto di natura sociale (il peso e il potere della frazione ultra-parassitaria di borghesia finanziaria), e in via derivata di tipo tecnico-contabile: il reperimento delle risorse finanziarie per realizzare le due proposte.

Nelle prossime settimane assisteremo ad ulteriori contorsioni e avvitamenti politici e istituzionali, incentrati sulle aporie/contraddizioni immanenti al sistema economico-sociale borghese italico, ma non solo italico.

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